Cari pm, la corruzione è una cosa seria
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La Cassazione su Margiotta smonta l’attivismo di alcune toghe
di Redazione | 08 Giugno 2016 ore 06:19 Foglio
Sono state depositate le motivazioni con cui la Corte di cassazione, lo scorso febbraio, ha assolto in via definitiva il senatore del Pd, Salvatore Margiotta, dall’accusa di corruzione e turbativa d’asta per degli appalti relativi alla costruzione del centro petrolifero Tempa Rossa in Basilicata (attorno al quale, per altre vicende, a marzo si è dimesso il ministro Federica Guidi). Le indagini furono avviate nel 2008 dal pm di Potenza Henry John Woodcock che per l’allora deputato chiese gli arresti domiciliari. Arresti negati dalla Camera, a ben ragione visti gli sviluppi della vicenda: assoluzione in primo grado nel 2011, condanna in appello nel 2014, assoluzione definitiva quest’anno per Margiotta che, nel frattempo, a causa dell’inchiesta si è autosospeso dal Pd e si è dimesso da vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai.
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Positivo che la giustizia faccia il suo corso, ma alla luce del polverone mediatico-politico che si era sollevato sul caso, spicca il modo netto con cui la Cassazione ha voluto smontare l’indole di certi pm d’assalto a cercare la corruzione nell’attività dei politici anche quando questa non può esistere dal punto di vista logico. Affinché si possa parlare di corruzione, dicono i giudici, occorre che “l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera d’influenza dell’ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto”. Margiotta era sì vicepresidente della commissione parlamentare sull’Ambiente, ma quest’ultima “non aveva competenze nella materia oggetto di appalti”. E come potrebbe un parlamentare condizionare un appalto sul quale non dispone di alcun potere concreto di influenza? Misteri della fede (dei pm).
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