Il direttore de “Il Giornale”, sta per essere arrestato
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Il direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, sta per essere arrestato: il 17
giugno dell’anno scorso la Corte d’Appello di Milano lo ha condannato a 14 mesi di reclusione, senza la condizionale, per un articolo in cui un suo giornalista, senza neanche nominarlo, criticava un giudice e una sentenza. La possibilità di non finire in cella è legata all’eventualità che la Corte d’Appello abbia commesso un errore formale, che so, un timbro in una posizione sbagliata. Su questo, cioè sulla forma dell’incartamento, si pronuncerà mercoledì la Cassazione. Se tutti i bolli, le firme e le controfirme risulteranno collocate dove devono essere collocate, il nostro collega finirà in galera.
• In che senso il caso è clamoroso?
Intanto è clamoroso che nel nostro ordinamento esista ancora il reato d’opinione (mascherato dalla formula della diffamazione). È poi clamoroso l’accanimento della Procura di Milano: in primo grado, l’allora direttore di “Libero” e oggi direttore del “Giornale” era stato condannato, con il suo cronista, a risarcire il giudice diffamato con cinquemila euro. In secondo grado i cinquemila euro sono diventati 14 mesi di carcere senza condizionale per il solo Sallusti: al suo cronista, infatti, sono stati concessi tutti i benefici di legge. La condizionale viene negata a Sallusti «ai sensi dell’articolo 133 del codice penale» e cioè a causa della «pericolosità» del giornalista e della previsione che, se lasciato libero, continuerà a delinquere (cioè a scrivere articoli). Il pezzo incriminato non era stato scritto da Sallusti, ma da un corsivista che s’era firmato con il nome d’arte “Dreyfus”. Sallusti, in quanto direttore di “Libero”, avrebbe dovuto scontare, eventualmente, solo il cosiddetto “omesso controllo”, un’altra assurdità normativa dato che qualunque quotidiano equivale, mediamente (e ogni giorno), a un volume di due-trecento pagine che nessun direttore è in grado di controllare interamente. Ma i giudici gli attribuiscono sbrigativamente la paternità del pezzo con queste parole: «direttore responsabile del quotidiano “Libero” e quindi da ritenenrsi autore dell’articolo redazionale a firma Dreyfus». C’è infine la questione, dimenticata nelle polemiche di questi giorni in cui tutta la stampa, compreso l’arcinemico Marco Travaglio, sta difendendo il direttore del Giornale: le sentenze e i giudici sono criticabili? O bisogna subire in silenzio fino all’ultima prepotenza?
• Di che cosa parlava l’articolo incriminato?
Una ragazzina di 13 anni resta incinta, i genitori vogliono che abortisca, lei non vuole, ma il tribunale di Torino dà ragione ai genitori e di fatto impone l’interruzione di gravidanza. La piccola finisce in cura da uno psichiatra. “La Stampa” racconta la storia e i giornali – cioè l’opinione pubblica – si dividono, come è ovvio in un caso di questa delicatezza. L’opinione di sinistra difende la scelta dei giudici e degli assistenti sociali. L’opinione di destra e della Chiesa si indigna: come mai s’è messa una tredicenne sotto i ferri senza almeno tentare vie meno traumatiche? Il quotidiano “Libero”, diretto in quel momento da Sallusti, copre l’evento con una cronaca di Andrea Monticone e con un commento a firma “Dreyfus”, schierato naturalmente sul fronte antiabortista. «Qui ora esagero – scrive Dreyfus – ma prima di pentirmi domani scrivo: se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice». Parole forti: ma il giudice autore della sentenza non è citato in alcun modo, neanche attraverso giri di parole e neanche su giornali diversi da “Libero”. Ciononostante, costui si sente diffamato e querela. Il magistrato si chiama Giuseppe Cocilovo, e a quel tempo era in servizio presso il giudice tutelare.
• Come mai lei si permette di scrivere il suo nome?
Il giudice ha ottenuto questo risultato sicuro: tutti i giornali ne hanno scritto il nome e il cognome, anche se nessuno è andato a conoscerlo di persona per farsi spiegare l’enormità della sua iniziativa.
• Sì, l’iniziativa sarà enorme, però se esiste una legge, se esistono dei tribunali…
Noto intanto che nelle cause che oppongono giornalisti e magistrati bisognerebbe avere un giudice terzo, un giudice diverso da quello che i giornalisti incrociano nella loro vita professionale. I giudici sono parte in causa e ci dànno volentieri torto, qualche volta, come si vede, persino accanendosi. Quanto alla legge, bisogna ancora una volta lamentare l’insipienza dei politici. In Parlamento giacciono inerti due disegni di riforma, praticamente identici, uno preparato a destra (n. 881) e l’altro preparato a sinistra (n. 4714) che depenalizzano il reato di diffamazione. La proposta di legge preparata dalla destra (onorevoli Costa e Pecorella) ammette anche che l’attuale normativa «espone il giornalista, spesso in buona fede, ad elevati rischi che possono interferire con la libertà di espressione e di critica e con il diritto di cronaca». Tutte faccende protette, in teoria, dalla Costituzione.
• C’entrerà in qualche modo il fatto che Sallusti è un accanito berlusconiano?
Di Pietro ha in corso una cinquantina di querele contro i giornalisti e nel caso Sallusti, a cui è ufficialmente attento lo stesso Napolitano (potrebbe concedere la grazia), non ha rilasciato neanche mezza dichiarazione. I precedenti di giornalisti messi in galera per diffamazione riguardano solo colleghi di destra: Guareschi al tempo di De Gasperi e Lino Jannuzzi al tempo della vergognosa persecuzione giudiziaria di Enzo Tortora. Sarà certamente un caso. Fior da Fiore, 24.9.2012