Come riformare la Rai, con forza politica
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Tagliare due nodi: lottizzazione e corporazione. Serve questo, e basta
di Redazione | 14 Febbraio 2015 ore 06:18 Foglio
La riforma della Rai, tornata di attualità per la rissa rusticana tra il direttore generale Luigi Gubitosi e la commissione di Vigilanza, è uno dei molti tabù di fronte ai quali la politica italiana sembra arrestarsi intimorita. Eppure, se si è riusciti a forzare la mano al partito pro Cgil per varare il Jobs Act, forse esistono anche le forze necessarie per vincere un braccio di ferro col partito Rai (o Usigrai) che non è così invincibile come crede. Spetta a Matteo Renzi affrontare la questione, tagliando il nodo gordiano della lottizzazione che le formazioni politiche, tutte, difendono. L’alternativa proposta infatti altro non è che una ridicola rivendicazione di “autonomia dalla politica”, fatta da un carrozzone superpoliticizzato e di proprietà pubblica. Se la scelta è fra corporazioni interne e lottizzazioni esterne, cioè tra Scilla e Cariddi, l’esito resta comunque a somma zero. Bisognerebbe invece partire dai dati di fatto, da un’azienda pubblica che lo stato deve ricondurre a una gestione efficiente, in dimensioni che permettano di non accumulare perdite, di uno strumento fondamentale della vita culturale che deve sviluppare tutte le potenzialità vitali e anche contraddittorie, di uno strumento di informazione che cancelli il prodotto di successive lottizzazioni e l’esito, ancor meno potabile, di occupazioni corporative.
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Il governo ha una funzione decisiva nel promuovere una riforma di sistema. Non serve a granché, invece, se si destreggia tra le diverse spinte, che sono come onde in una bacinella che si sta sfasciando. Il direttore generale di nomina politica (è ovvio in un’azienda pubblica) che si ribella contro le intromissioni politiche è patetico, ma l’organo parlamentare che in nome dell’autonomia difende la lottizzazione delle testate, in oggettiva complicità e con l’immobilismo autoreferenziale dell’Usigrai, non è certo più lodevole. E’ perciò evidente che senza una spinta politica poderosa in direzione di una riforma di sistema, non si caverà un ragno dal buco.