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Quella banale equivalenza morale di Obama fra i crociati e il califfo
di Redazione | 11 Febbraio 2015 ore 06:18 Foglio
E’ noto che Barack Obama ha eliminato dalla neolingua dell’Amministrazione ogni collegamento tra l’islam e il terrorismo, attenendosi diligentemente alle norme vigenti del politicamente corretto. Per la Casa Bianca al Baghdadi è la negazione esplicita dell’islam, Boko Haram la sua deriva folle, e del resto il sentimento religioso di Obama è ispirato a un sincretismo generico e pacificante, una notte in cui tutte le divinità si somigliano e sono sempre esposte al rischio del fondamentalismo. La settimana scorsa Obama ha inaugurato il genere dell’equivalenza morale fra le patologie dei monoteismi. Nel suo discorso all’annuale National prayer breakfast ha citato gli orrori che affliggono il mondo, dalla strage di Parigi, al massacro degli studenti in Pakistan, agli eccidi dello Stato islamico, ma anche se la stragrande maggioranza di questi orrori è compiuto sotto la bandiera dell’islam, per il presidente l’islam non c’entra niente.
Per bilanciare, ha citato due fenomeni di stretta attualità come le crociate e l’inquisizione, e poi ha lanciato il suo principio politicamente corretto: “Questo (l’orrore della violenza religiosa, ndr) non è specifico di un gruppo o di una religione. C’è una tendenza immorale in noi che può pervertire e distorcere la nostra fede”. Ed ecco che per il presidente che vede un lato giusto e uno sbagliato della storia, tutte le religioni sono equamente colpevoli di estremismo, e una storia complessa viene liquidata con un’equivalenza buttata lì, fra un bilaterale e l’altro. I terroristi islamici sentitamente ringraziano per avere trovato un’altra conferma alle loro fanatiche ossessioni sui “crociati” occidentali, che poi saremmo noi.