Il fattore C di Renzi e la necessità, di mostrare le palle.
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Se non ora quando?
di Claudio Cerasa | 08 Febbraio 2015 ore 12:00 Foglio
C’è il QE e c’è il CE. La prima sigla la conoscete: quantitative easing, facilitazione quantitativa, politica monetaria non convenzionale con cui una banca centrale prova solitamente a rilanciare l’economia attraverso l’acquisto sul mercato di titoli di vario tipo. La seconda sigla, che in un certo modo è figlia della prima, ha invece un’accezione più semplice, forse più immediata. CE, nel senso di easing, e dunque sempre facilitazione, ma inteso qui in una cornice più tecnica: il fattore C, ovvero il fattore culo. Certo. Renzi sarà bravo, capace, tosto, spregiudicato e intraprendente ma provando ad astrarci un po’ dal contesto politico di questi giorni, e provando a ragionare su uno scenario che possa prescindere persino dal mondo del Nazareno, appare evidente che il fattore C, per il presidente del Consiglio, ha una sua dimensione importante, in parte meritata ma in parte casuale, che contribuirà a offrire al governo un carburante che sarebbe un delitto non sfruttare.
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Il rapporto tra euro e dollaro mai così basso negli ultimi dieci anni, che dovrebbe dare presto una gagliarda spinta alle nostre esportazioni. Il costo del petrolio a livelli da record, e anch’esso molto basso, che, come dice il Fondo monetario internazionale, potrebbe far crescere il Pil mondiale fino allo 0,8 per cento in più rispetto alle attese precedenti e che potrebbe avere un impatto importante anche sull’inflazione, facendo cioè crollare ancora più di oggi i prezzi al consumo. E poi ci sono gli effetti del QE, con l’ombrello di Mario Draghi che permetterà ai paesi che ne beneficeranno di far abbassare i tassi di interesse sui titoli di stato (cento punti di spread in meno valgono 20 miliardi) e che permetterà a Renzi di avere una copertura importante fino al settembre 2016 – e sempre a proposito del fattore CE, il fattore C, il fattore culo, proprio nel 2016 scade la clausola di salvaguardia della legge elettorale, l’Italicum.
Questa congiunzione astrale particolarmente favorevole per il governo (e per l’Italia) permetterà al presidente del Consiglio di poter sfoggiare probabilmente già dai prossimi mesi dati di crescita economica che lo galvanizzeranno ma che non si può dire siano merito del Pupone di Palazzo Chigi. Vedremo come andrà. Ma la certezza è che, in virtù di questo notevole aiutino, Renzi non avrà più la possibilità di invocare gufi, rosiconi o signori delle tartine come ostacoli insormontabili al processo di riforme del paese. E da questo momento in poi ogni giorno in più che passerà senza che Renzi riformi come si deve la giustizia (siamo pessimisti), senza che Renzi riformi come si deve la pubblica amministrazione (non siamo ottimisti), senza che Renzi riformi come si deve il contratto del pubblico impiego (e qui chissà), senza che Renzi avvii un tosto processo di liberalizzazioni (ahi, ahi, ahi), senza che Renzi non chiuda la stagione delle aziende decotte che sopravvivono solo grazie a improduttivi aiuti di stato (parole, parole, parole), senza che insomma Renzi faccia quello che non ha ancora fatto e che non ha avuto il coraggio di fare – per esempio un piano ambizioso di tagli alla spesa pubblica (dovevano essere 20 miliardi l’anno, sono diventati 4 miliardi, bruscolini), per esempio un piano ambizioso di nuove privatizzazioni (e qui lo spazio c’è), per esempio un piano ambizioso per cominciare a ragionare su come abbattere il debito pubblico (e l’idea che per abbattere il debito è sufficiente la crescita è una tesi economica da Zelig) – ogni giorno che passerà senza che Renzi sfrutti insomma l’occasione incredibile che un po’ si è creato da solo e che un po’ gli ha offerto il destino sarà un’occasione in più per misurare il successo o il fallimento del renzismo.
Le riforme istituzionali sono importanti, certo, la legge elettorale è centrale, ok, l’equilibrio tra le sessanta maggioranze di cui può disporre il presidente del Consiglio è fondamentale, vero, il rapporto con Forza Italia, pensiamo noi, è vitale, ma senza entrare nella carne viva del paese, senza prendere in mano il bisturi, il futuro di Renzi potrebbe essere meno radioso di quello che si potrebbe immaginare. Il premier boy scout dice giustamente che oltre alle riforme bisogna pensare anche alla psicologia, a come far ripartire l’economia anche grazie a una mitragliata di ottimismo, perché oggi, si sa, la propensione al risparmio degli italiani è allo stesso livello degli anni precedenti alla crisi, e se la gente non spende non è perché non ha soldi ma è perché ha paura di spendere. La psicologia è importante, ovvio. Daniel Kahneman nel 2002 ha vinto anche un Nobel con una teoria sugli effetti che ha la psicologia sull’economia, e senza sblocco psicologico con cavolo che ripartono i consumi.
Tutto vero e tutto giusto. Ma Renzi, come si dice, da questo momento in poi ha scuse zero. Il vero nemico di Renzi è Renzi, non ci sono più gufi e non ci sono tartine. E in mezzo a tutto questo culo forse, per il pupone di Palazzo Chigi, è arrivato il momento di mostrare davvero le palle.