Il crocevia ucraino. Guerra in Europa?
- Dettagli
- Categoria: Firme
La crisi ucraina ha raggiunto un livello di criticità tale da condurre la Russia, l’Unione Europea e la NATO ad un crocevia ove le strade che verranno intraprese condizioneranno il futuro e la stabilità dello scenario di sicurezza internazionale.
di Fabrizio W. Luciolli 8 febbraio 2015, Analisi Difesa
La recente visita a Mosca del Cancelliere tedesco Merkel e del Presidente francese Hollande, è stata pertanto giudicata “importante e urgente” dal Segretario Generale della NATO Stoltenberg e testimonia un rinnovato slancio da parte dell’Occidente per una soluzione politica della crisi. Malgrado i diversi approcci nei confronti della crisi ucraina, l’iniziativa del Cancelliere tedesco è stata condivisa da tutti i paesi europei, sebbene sia stata compiuta a spese dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Mogherini che non è stata invitata a partecipare agli incontri di Mosca.
Al Cremlino, tuttavia, il Presidente Putin si è attenuto alle nove pagine del piano di pace proposto lo scorso gennaio. Questo, oltre a considerare acquisita l’autonomia della Crimea, presenta ulteriori aspetti lesivi dell’integrità territoriale dell’Ucraina, la cui negoziazione richiede necessariamente dei tempi supplementari. Nonostante gli accordi siglati a Minsk nel settembre 2014, non si è mai pervenuti ad un effettivo cessate il fuoco. Di contro, si è registrato un significativo aumento della conflittualità lungo la linea di contatto nell’Ucraina orientale dove, a metà gennaio 2015, le forze separatiste russe hanno lanciato attacchi contro l’aeroporto di Donetsk e in altre aree strategiche.
Attualmente, piuttosto che alla ricerca di una soluzione politica, Mosca appare impegnata a creare una zona “cuscinetto” lungo i confini occidentali della Russia e, al contempo, a generare in Ucraina orientale un conflitto “congelato” al fine di destabilizzare il governo ucraino. I russi, difatti, continuano a stazionare in numero considerevole nelle oblast di Donetsk e Luhansk, dove sono state introdotte ingenti quantità di armi pesanti che potrebbero preludere alla preparazione di un altra offensiva separatista
Qualora non contrastata, lo sviluppo della strategia russa, oltre a minare gravemente la stabilità dell’Ucraina, potrebbe suscitare nel Cremlino la tentazione di sfidare ulteriormente lo scenario di sicurezza facendo ricorso alla dottrina sulla protezione delle comunità russe o russofone persino nella regione del Baltico, con ciò ponendo una diretta minaccia alla NATO.
In tale prospettiva, l’Amministrazione statunitense sta valutando l’opportunità di rafforzare le capacità di difesa dell’Ucraina attraverso aiuti militari e la fornitura di armamenti difensivi, non più esclusivamente di tipologia non letale.
Secondo uno studio condotto congiuntamente dall’Atlantic Council, da Brookings Institution e dal Chicago Council on Global Affairs, nel 2015 gli Stati Uniti dovrebbero fornire all’Ucraina assistenza militare per 1 miliardo di dollari, che andrebbe proseguita anche negli anni fiscali 2016 e 2017 con altrettanto impegno.
Gli armamenti non letali che si vorrebbe fornire all’Ucraina includerebbero: radar, velivoli a pilotaggio remoto (UAV), contromisure elettroniche anti UAV, capacità di comunicazioni sicure, Humvees blindati, e supporto medico. Fra gli armamenti letali di carattere difensivo andrebbero annoverati anche dei lanciamissili per contrastare i numerosi veicoli blindati schierati dai russi a Donetsk e Luhansk.
Per gli Stati Uniti, infine, sarebbe auspicabile che anche altri membri della NATO si adoperassero per assistere i militari ucraini con sistemi d’arma compatibili con quelli attualmente in loro dotazione.
Una posizione che non trova il necessario consensus in ambito NATO dove più di un paese, inclusa l’Italia, condividono la posizione espressa dal Ministro della Difesa esteri tedesco von der Leyen secondo la quale “più armi in quella regione non ci avvicinerebbero a una soluzione e non porrebbero fine alla sofferenza della popolazione”.
Il Governo ucraino, peraltro, è chiamato a consolidare le istituzioni democratiche, portando a compimento le riforme politiche e economiche e incisive misure anti-corruzione. Condizioni necessarie per poter usufruire dell’assistenza militare e del sostegno delle istituzioni finanziarie internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale.
Per favorire una soluzione politica e prevenire una escalation militare della crisi, sarà utile che la NATO faccia appello alla strategia indicata nel 1967 dal Rapporto Harmel, che seppe coniugare efficacemente il dialogo e la distensione con Mosca con la fermezza di una difesa collettiva sostenuta da adeguati strumenti di dissuasione e deterrenza.
In tale quadro, il mantenimento delle sanzioni occidentali appare essenziale ma di per sé non sufficiente, né strategicamente esaustivo. Le sanzioni politiche ed economiche imposte a Mosca hanno colto di sorpresa il Cremlino e stanno avendo un impatto rilevante sulla fragile economia russa.
Se l’Occidente e Kiev saranno in grado di trovare un efficace canale di dialogo con Mosca e, al contempo, sapranno avviare un’adeguata politica di difesa e di deterrenza volta a scoraggiare un’ulteriore aggressione militare russa, vi è la possibilità che il Cremlino riveda le proprie scelte e si mostri più disponibile ad una soluzione pacifica della crisi in Ucraina orientale.
E’ questo lo scenario che è stato oggetto della riunione dei ministri della difesa tenutasi alla NATO il 5 febbraio.
Una riunione che ha avviato, secondo le parole di Stoltenberg (nella foto a sinistra), “il più grande rafforzamento e riposizionamento della difesa collettiva della NATO fin dai tempi della Guerra Fredda”. La NATO Response Force (NRF) è stata pressoché triplicata e conterà 30.000 uomini.
Essa sarà caratterizzata da una Spearhead Force (Punta di lancia) costituita da una brigata multinazionale di 5.000 uomini in grado d’intervenire in 48 ore. Attualmente le truppe sono offerte per lo più dalla Germania, dall’Olanda e dalla Norvegia, ma contributi sostanziali saranno presto forniti anche dall’Italia, dalla Francia, dalla Polonia, dal Regno Unito e dalla Spagna.
La NRF, così riconfigurata, costituirà una “cintura di sicurezza” a protezione dei paesi membri dell’Alleanza. Inoltre, al fine di garantirne la massima prontezza operativa, la NRF si avvarrà di sei nuovi centri di comando e controllo che verranno dislocati in Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Bulgaria e Romania.
Un simile impegno inteso a garantire “le forze giuste, nel posto giusto e al momento giusto” richiede, tuttavia, adeguate capacità e risorse finanziarie in grado di sostenere i cicli di addestramento e di impiego delle forze.
Secondo il Center for Strategic and International Studies, negli anni Duemila gli Alleati europei hanno mediamente ridotto le rispettive forze armate del 18%, mentre solo nel 2014 i bilanci della difesa hanno subito una contrazione del 3%. Inoltre, sull’onda della procedura di sequestration del 2013 e della conseguente politica di tagli lineari alle spese federali, gli stessi Stati Uniti hanno in programma entro il 2020 un taglio al bilancio della difesa superiore all’ammontare totale dei bilanci della difesa europei.
Al contrario, la Federazione Russa ha in programma nei prossimi anni di investire 775 miliardi di dollari in sistemi d’arma e nelle proprie forze armate, con particolare attenzione allo sviluppo di unità e forze per operazioni speciali in grado di sostenere guerre “ibride” e campagne di disinformazione quali quella condotta dai cosiddetti Little Green Men in Ucraina.
In un’Europa che, a differenza della minaccia unipolare della Guerra Fredda, vede i propri confini aggrediti da crisi e instabilità tanto a Est quanto a Sud, l’impegno assunto nel 2014 dai Capi di Stato e di Governo al vertice NATO del Galles di fermare il declino dei bilanci della difesa e rispettare le linee guida del raggiungimento del quota del 2% del PIL, appare oggi ancor più ineludibile.
La crisi ucraina pone oggi la NATO, l’Unione Europea e la Federazione Russa di fronte a un crocevia dove l’unica via percorribile è quella della soluzione politica. Una NATO forte e credibile ed una Unione Europea coesa, sono essenziali per impegnare Mosca in un dialogo costruttivo e per ristabilire un rapporto di fiducia che rispetti tanto l’identità russa quanto le regole del diritto internazionale. Queste, per Stoltenberg “non possono essere riscritte, né tantomeno violate”. E’ ora compito della politica e della diplomazia ricercare quelle “convergenze parallele” che consentano di riprendere un comune cammino di sicurezza cooperativa.
Fabrizio W. Luciolli
Presidente del Comitato Atlantico Italiano e Presidente designato dell’Atlantic Treaty Association, è Docente di Organizzazioni Internazionali per la Sicurezza presso il Centro Alti Studi per la Difesa. Svolge attività di formazione in varie istituzioni nazionali ed internazionali, militari ed accademiche. Già coordinatore di Corsi di alta formazione per ufficiali e diplomatici dei Balcani occidentali e del Medio Oriente, è Direttore e promotore di progetti di cooperazione NATO ed UE in Europa centrale ed orientale.