Atene e Mosca, l’orgoglio nazionale e il vittimismo

alzano la testa

di Giuliano Ferrara | 08 Febbraio 2015 ore 06:30 Foglio

Rispettare la legge, saldare i debiti: Russia e Grecia, con un tratto di arcaismo ortodosso misto agli effetti travolgenti della contemporaneità, mostrano che l’orgoglio nazionale sta facendo saltare i capisaldi della convivenza umanitaria, liberale, egualitaria in occidente. Come diceva Franz Grillparzer, scrittore illustre di due secoli fa, si passa “dall’umanità, attraverso la nazione, alla bestialità”. Siamo penosamente intenti a fare i conti con la supernazionalità islamica o califfale, la umma dei fedeli, e ci ritroviamo con l’Ucraina infiammata dalla campagna di Novorossija e la Grecia incendiata dalla piazza e dai partiti nazionalistici e anticapitalistici. Le cose si mettono proprio male, o così sembra. Il liberal Obama ha sbrigliato il cavallo, e il cavallo si sta imbizzarrendo oltre ogni misura, e sgroppa e tira calci nell’anello debole europeo.

L’orgoglio nazionale, il famoso “plebiscito di ogni giorno” che ti induce alla guerra e al rigetto delle responsabilità, ha molte componenti: lingua, territorio, antenati, sangue, volontà, coscienza, cultura, religione. La componente principale però non riguarda oggi Rousseau, Herder e altri stranoti, o non riguarda solo la giunzione tra nazione e popolo che dalla Francia rivoluzionaria e napoleonica ha pervaso, come ansia di autodeterminazione e politica di potenza, l’intera storia europea. Riguarda la vittimizzazione, la cultura del piagnisteo (Robert Hughes), il senso cocente dell’umiliazione e dell’ingiustizia subita. Il comunismo aveva sublimato tutto questo nel “domani che canta”, ma nel mondo unificato da capitali e mercati, con la travolgente avanzata della libertà e della ricchezza diffusa, prevale in chi resta ai margini “il passato che piange”. Varoufakis per parare il debito a Berlino, Putin per difendersi dall’offesa alla Russia sanguinante a Kiev: entrambi speculano sulla memoria del nazismo, rivoltolano la storia del Novecento, forzano la mano che deve ridisegnare confini e mercati minacciando insicurezza, scissione, rottura di ogni patto codificato.

La piazza seguirà, e il consenso plebiscitario dell’orgoglio è un seguito pesante, un’ipoteca difficile poi da riscattare per il potere politico. Sanzioni e debito fanno dello zar russo e dei rivoluzionari greci una band of brothers, una schiatta di eroi, non più solo politici d’occidente bensì soldati al fronte, come nella serie di Spielberg, come nella mitologia antica. La conclusione graduale e positiva, attraverso lo sminuzzamento diplomatico di cui Angela Merkel è maestra, e che è comunque l’unica arte a lei conosciuta, non è affatto scontata. L’orgoglio nazionale eccita, incita, ispira, manda, vigila, pretende e non stacca gli occhi di dosso ai suoi simboli.

Il protocollo di Minsk fissava i termini del disarmo della frontiera russo-ucraina, dell’armistizio e di una via possibile, appena accennata, per ricostruire condizioni accettabili per tutte le parti in causa: la logica di un grande paese acciaccato dalle sanzioni e pervaso di sentimento dell’assedio, un paese che si sente trattato come uno sconfitto della storia e non accetta il verdetto, ha bruciato il compromesso. Il memorandum del bailout greco ha creato due mitici mostri, il Minotauro della troika e il popolo fanciullo offertogli in olocausto ogni anno, e i popoli, le nazioni, si ribellano al sacrificio imposto da fuori. Il vecchio sistema politico di Atene, corrotto e malandato per quanto fosse, aveva portato il paese nella mediazione politica Europa e lo aveva agganciato all’avventura perigliosa della moneta unica: non esiste più, è sostituto da una reviviscenza modernista, a suo modo intelligente, scaltra e furbetta, di lotta di classe attraverso le frontiere. Putin aveva consolidato la democrazia post sovietica, un ibrido, certo, che aveva però consentito la formazione di una classe media ampia e soddisfatta di sé, ora tutto è pregiudicato nell’orgoglio identitario e il management di questa democrazia piuttosto goffa affonda nella retorica e nella bugia, complementi essenziali del nazionalismo corsaro alle porte della Mitteleuropa.

Se il passato piange, e parla di una legge e di un debito insopportabili, il domani tornerà a cantare attraverso la forzatura, l’incremento politico sostenuto dalle mitologie e dalla memoria, se non attraverso la guerra, tutti strumenti fatali per colpire l’occidente diviso, intergovernativo, burocratico, e la sua carne troppo grassa che è incapace di tutelarsi nella tempesta. Speriamo che non sia così, ma così per adesso sembra che sia.

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