Patto in crisi, l’amarezza di Verdini
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«Vedo nani e ballerine fare festa», Il diario: Renzi prepara rappresaglie e organizza le truppe come faceva Masaniello
di Francesco Verderami, Il Corriere della Sera
Non dovendo più scrivere i suoi report per Silvio Berlusconi, Denis Verdini si è messo a scrivere le sue memorie, che sono per ora fogli scritti a mano, sparsi sulla scrivania. Non è casuale che l’uomo della trattativa con Matteo Renzi abbia iniziato il racconto dalla fine, perché risalendo il sentiero verso la sorgente si possono meglio analizzare le vicende, le ragioni e gli errori, propri e altrui. Certo, l’autobiografia sfocia sovente nel mare dell’autoassoluzione, e lui in Forza Italia è l’imputato. Che ha scelto la scrittura per dire la sua verità.
Eccolo l’artefice del Nazareno, «è grazie a Denis, alla sua intuizione, che un anno fa siamo rientrati in gioco», aveva esordito Berlusconi all’ultimo vertice di Forza Italia, prima di dargli il benservito: «Ora però dobbiamo uscire dall’equivoco». Di equivoci nel Patto con Renzi e nella sua gestione ce n’erano stati troppi perché il leader e il suo ambasciatore potessero riassumerli nella furibonda lite della sera prima. Ed è con un riferimento a quello scontro che inizia il racconto di Verdini: «In una monarchia il re è la legge. E se il re dice “la legge sono io”, meglio aspettare che si sfoghi». Perciò il giorno seguente, quando era stato richiamato a corte, aveva disertato l’appuntamento: «Sono a un funerale». Verdini aveva perso tre volte in un colpo solo: perché era saltato il Patto, perché era stato accerchiato dal «cerchio magico», e perché - siccome in Forza Italia il leader non sbaglia mai - aveva sbagliato solo lui. Ma Verdini sentiva di aver vinto: perché il Patto non era davvero saltato, perché non aveva accettato di dimissionarsi, e perché Renzi aveva annunciato di non voler parlare con altri messaggeri dell’ex premier: «Ho fatto sapere che, se vogliono, li faccio mettere in contatto con il mio vice al partito, Lorenzo Guerini. Vadano al Nazareno a parlare con lui. Anche Berlusconi».
Per quanto messo al rogo, Verdini non sembra temere le fiamme dell’inferno politico. Almeno così c’è scritto nelle sue memorie: «Mi sento sollevato, libero da responsabilità. Osservo nani e ballerine far festa per la fine del Patto. Io sto seduto sulla riva del fiume in attesa di pescare qualche pesciolino. Come Mike Bongiorno, sto lì: busta numero uno, busta numero due e busta numero tre...». Non è dato sapere a cosa alluda con quest’ultimo concetto. Lui, che si muove tra le colonne e però tiene sulla scrivania un piccolo Vangelo rilegato in pelle rosso fuoco, spesso parla e scrive senza volersi fare decrittare. E poco più sotto, nello stesso foglio, descrive la scena del Palazzo dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Colle: «Il Pd attende, tranquillo che (frase incomprensibile, ndr)... Fuga di grillini in massa, il comandante zero alla guida di soldatini con piedi d’argilla, la nuova leva nordista che gonfia il petto. E Renzi sulla tolda di comando che - libero da patti - addomestica la tigre comunista alla sua sinistra, prepara rappresaglie, e intanto organizza truppe come faceva Masaniello: quelli con il fazzoletto di qua, quelli senza fazzoletto di là».
La frase meriterebbe un’esegesi, specie quando rivela che Renzi starebbe preparando «rappresaglie»: Verdini si riferisce forse alle prossime norme del governo in materia di giustizia, fisco ed emittenza? Più chiaro è invece il riferimento al premier che «organizza truppe» in Parlamento. Sono i nuovi Responsabili, che oggi vengono pubblicamente lodati dalla vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, la stessa che - quando i gruppi vennero organizzati per salvare Berlusconi - si espose per accusare di mercimonio politico quella teppa: «Eccoli, i Disponibili, che chiedono un piatto di lenticchie. Questo sarebbe il simbolo giusto per la loro formazione». Così va il mondo e la (doppia) morale. Verdini non se ne cura. Anzi, essendo l’inventore di quel brevetto, annota come «ora è facile copiarlo, perché la gente tiene famiglia, non vuole andare a casa, e bussa alla porta di Renzi. Ai miei tempi fu diverso».
Eppoi, quanto sta accadendo è l’effetto della sfida per il Quirinale, durante la quale il centrodestra ha commesso degli errori di cui si sente (in parte) responsabile. Il patto di consultazione con Angelino Alfano, per esempio... Scrive Verdini: «Fu una riunione tra fratelli ritrovati. Ma ci facemmo prendere dai sentimenti, perdendo il senso della ragione. Renzi lo conosco, non avrebbe permesso che il nostro desiderio si realizzasse. Infatti andò così. Ncd non poteva a quel punto uscire dal governo. Né deve farlo. Per andare dove ora? Il centrodestra è in frantumi. Salvini pensa di vincere. Non vincerà mai. Quando in Francia Le Pen andò al ballottaggio con Chirac, non ci fu partita». Più che l’analisi della situazione, o il passaggio su Renzi che «conosco» - e che evoca lo stretto rapporto di Verdini con il premier - colpisce l’afflato verso «i fratelli ritrovati», gli «amici di Ncd e Udc» con cui - prosegue nello scritto - «ci siamo detti che in prospettiva bisognerà ricostruire. Ma ci vorrà tempo e pazienza. E servirà che Berlusconi capisca cosa loro hanno spiegato, con garbo e determinazione, quando hanno posto il problema del rapporto con la Lega e il tema della leadership».
Siccome non è un testo apocrifo, sono sensazionali le rivelazioni contenute in questi fogli, dove - per la prima volta - un dirigente forzista definisce un «errore la fine del Pdl»: «La rottura fu un errore strategico, perché dividersi è significato indebolirci reciprocamente. Se non lo avessimo fatto, forse oggi non ci sarebbe stato Renzi». Così Verdini arriva alla sorgente dei mali del centrodestra, che è la rottura con il governo Letta: «Resto convinto che la crisi andasse aperta per dare un segno di solidarietà a Berlusconi, ingiustamente estromesso dal Senato. Ma la mia tesi era che dopo quindici giorni avremmo fatto un altro governo». È la sua «tesi» che cela però un’altra verità.
7 febbraio 2015 | 07:49