Le avventure dei furbetti del Partenone
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Quelli che vogliono salvare il capitalismo dai capitalisti tifano Tsipras. Ma sul debito non si scherza
di Giuliano Ferrara | 06 Febbraio 2015 ore 06:29 Foglio
La sinistra sexy di Atene – c’è chi già li chiama “i furbetti del Partenone” – ha dato i suoi schiaffi alla Troika, e ne ha ricevuti in cambio di pesanti. Li ha ricevuti dalla maschera latina, gesuitica, di Mario Draghi, che difende la sua moneta dall’assalto dei titoli spazzatura, con la pretesa che violi i trattati europei, e dal corruccio di un vecchio ma ricco e lucido signore in carrozzella, Wolfgang Schäuble, Finanzminister della Merkel. E’ rischioso scherzare a Berlino, anche in materia storiografica: il ministro greco Yanis Varoufakis, che per l’occasione si era infilato la maglietta nei pantaloni, non ha rinunciato alla battuta sui tedeschi che conoscono le conseguenze dell’umiliazione di un popolo orgoglioso (attenti ai nazisti di Alba dorata, ha detto). Nel gran trambusto, tuttavia, i mercati, se diffidano dei furbetti e lo dicono a forza di rimbalzi degli interessi sui bond greci e di fughe di capitali dalle banche di Atene e di crolli in Borsa, continuano ad aspettarsi, tutto sommato e pur non escludendo il peggio, un accordo, un deal. Bisogna consentire a Alexis Tsipras, che rifiuta le prediche e vuole onorare il voto del popolo greco difendendo “l’economia sociale” del suo paese, di respirare quel tanto che gli è strettamente necessario, salvandosi la faccia; ma mettendosi bene in testa che le economie sociali, in Europa, sono “economie sociali di mercato”, e l’indebitamento pubblico non è una variabile indipendente. Tutto molto ragionevole.
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I mercati non sono convinti, né sono persuasi gli elettori degli stati che dovrebbero condonare, dell’idea espressa da un possente partito della remissione, abbastanza forte nella City di Londra e in settori ultraliberal della finanza di Wall Street, altro che la sinistra senza cravatta: estinguere parte consistente della montagna dei debiti fuori controllo, a partire dalla Grecia e scontando il rischio di un contagio, è un rischio inferiore a quello di insistere con politiche di risanamento che stroncano il cavallo della crescita economica e producono radicale ribellione sociale. Può essere che ci sia un’oncia di saggezza percepita in tutto questo, come dimostra la vampata di gioioso interesse che aveva accolto le proposte dell’ingegnoso hidalgo Varoufakis sui bond perpetui e sui titoli legati alla crescita al posto delle scadenze del bailout monitorate dalla Troika. A tutta prima alla City hanno considerato la trovata come un congelamento degli impegni, senza conseguenze devastanti, invece che una cancellazione delle pendenze. Londra, s’intende, è un creditore di seconda fila, perde poco.
La sinistra di Syriza sa bene che il mondo è pieno di capitalisti ingegnosi dalla missione chiara: salvare il capitalismo dai capitalisti. L’emisfero occidentale è ricco di nemici del mercatismo e della finanza globale. In fondo molti dei furbetti, compreso il ministro delle Finanze, sono accademici cosmopoliti, conservatori in divisa da ribelli, vecchi e brillanti marxisti legati allo schema della lotta di classe come motrice della storia, ideologi anche alla moda che considerano con degnazione le rivoluzioni liberali che hanno cambiato il mondo aprendo confini e mercati. Il loro tentativo, che ha qualche freccia al suo arco e dipende da parole magiche tipiche della cultura del piagnisteo come “umiliazione” e “diseguaglianza”, è dimostrare che le regole dell’euro, dell’austerità e del salvataggio finanziario dei debiti sovrani sono ispirate a una logica egoistica e punitiva, incompatibile con la prospettiva di creare nuova ricchezza comune. Non hanno nemmeno tutti, tutti i torti, ed è per questo che ci si aspetta un compromesso nell’orizzonte delle cose possibili, ma il debito va onorato, pare.
In caso contrario, si esce dal club monetario comune e ciascuno va per la sua strada. L’aspetto surreale della tragedia greca, che la fa simile a una farsa, è che non esistono per adesso regole d’uscita. Il club è una strana prigione senza guardiani alle porte. Gli stati condividono valori (come scrive nel Ft Martin Wolf) ma restano sovrani nella loro interpretazione, e sul debito possono al massimo fare come Schäuble e Varoufakis: accordarsi sul disaccordo. Il debito si paga quando l’economia cresce e le scadenze sono proporzionate alla crescita: non è in sé un cattivo principio. Ma le dure riforme per crescere nel mercato le deve fare una classe dirigente non incline alle avventure, intelligente e non furba.