L’illusione di un Putin occidentale
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L’inane Ostpolitik di Merkel e l’intervento della Nato in Ucraina sono i romanzi paralleli dell’incomunicabilità fra occidente e Russia. “Crediamo scioccamente che Mosca ragioni con categorie liberali”, dice Mearsheimer
di Mattia Ferraresi | 04 Febbraio 2015 ore 06:27 Foglio
New York. E’ stato durante l’incontro con Vladimir Putin a Brisbane, in Australia, che Angela Merkel ha capito che la crisi sarebbe durata a lungo. Quella notte nella sala conferenze dell’Hilton c’erano due monadi incomunicabili, numeri primi irriducibili l’uno all’altro, nonostante gli sforzi merkeliani di costruire una nuova Ostpolitik, aggiornando in termini contemporanei l’antica ambivalenza tedesca verso l’occidente. Con l’arte della pazienza strategica, Merkel aveva cercato di persuadere il presidente russo a mettere sul piatto una base d’asta politica credibile da cui partire per costruire una soluzione diplomatica alla crisi ucraina.
Aveva lasciato fuori dall’incontro i consiglieri, per mettere Putin nelle condizioni di parlare con franchezza, e dopo tante reticenze e depistaggi lui aveva fatto la sua offerta: l’Ucraina avrebbe dovuto fare con i separatisti filorussi quello che la Russia fa con i ceceni e le regioni autonomiste, ovvero tenerle buone con finanziamenti e spazi politici di autonomia. Un’offerta inaccettabile per la cancelliera. Ieri il Financial Times ha pubblicato la prima puntata di un’informatissima ricognizione dei rapporti fra l’occidente e Mosca da quando è scoppiata la crisi in Ucraina. Il faccia a faccia di Brisbane nel novembre scorso, scrive il quotidiano inglese, “ha segnato una svolta. Dopo un anno di crisi, l’occidente si è reso conto che stava inseguendo un’illusione: con tutte le sue tribolazioni post comuniste, la Russia è sempre stata vista su un’inesorabile traiettoria di convergenza con l’Europa”. Un funzionario tedesco la mette così: “Alla fine, tutti diventeranno come noi”. E’ così, scrive il Financial Times, che “l’occidente si è perso Putin”.
Per quanto Merkel si sforzasse di penetrare nella logica operativa russa, di offrire soluzioni credibili e muovere leve per rendere appetibile un accordo, il leader del Cremlino rimaneva trincerato in una logica inaccessibile anche a una cancelliera che parla russo, è cresciuta nel cuore della Guerra fredda e non esibisce facili entusiasmi atlantisti. John Mearsheimer, politologo dell’Università di Chicago, spiega al Foglio che il racconto dell’incomunicabilità fra Merkel e Putin è l’ennesima prova che “le élite occidentali non hanno la minima cognizione del fatto che qualcuno possa ragionare con altre categorie rispetto alle loro, è un fatto che semplicemente non accettano”. Mearsheimer è un esponente della scuola politica neorealista e ha rielaborato in senso aggressivo il realismo classico di Kenneth Waltz e Hans Morgenthau. E il realismo è il “playbook”, il paradigma, secondo cui Putin gioca la sua partita nelle relazioni internazionali; l’America e l’occidente si muovono invece nello schema liberale, dove tutte le strade, dirette o tortuose, portano infine alla democrazia in stile occidentale: “L’origine di questa crisi è l’intenzione espansionistica della Nato nei confronti dell’Ucraina, cosa che già nel 2008 la Russia aveva dichiarato inaccettabile”.
“Il fatto – continua Mearsheimer – è che l’Europa si è convinta di poter portare l’Ucraina nella propria orbita d’influenza, e ha pensato che di fronte al dispiegamento della volontà occidentale Putin si sarebbe ritratto. E’ esattamente il contrario: quando è minacciato, Putin raddoppia la posta in gioco, e questo non perché è un tiranno folle, semplicemente fa parte della logica di una grande potenza realista”. In America un gruppo di ex funzionari della sicurezza capitanati da Strobe Talbott ha da poco pubblicato un report in cui suggerisce a Washington e alla Nato di armare l’esercito ucraino, con il dichiarato obiettivo di “creare una situazione in cui il Cremlino giudicherà l’opzione di una guerra in Ucraina troppo costosa” e dunque accetterà un negoziato nei termini proposti dall’occidente. Per Mearsheimer è un’idea “folle”, perché si basa sulla “falsa premessa che la Russia ceda di fronte a una politica dura. Armare l’esercito ucraino significa suscitare una reazione ancora più violenta da parte del Cremlino, che non rinuncerà a un obiettivo strategico di vitale importanza. Sarebbe un errore enorme”. E’ il racconto dell’incomunicabilità politica dal lato americano, speculare a quello degli sforzi merkeliani. Micah Zenko, analista del Council on Foreign Relations, nota che, per l’Europa, l’Ucraina non ha una particolare rilevanza strategica, cosa che riduce di molto le motivazioni dell’occidente e la sua possibilità di mettere in campo un’opera di deterrenza efficace. Anche un editoriale di Bloomberg bastona l’idea degli armamenti della Nato a Kiev, manovra che “si ritorcerà contro l’occidente”. “Nemmeno un falco come John McCain – conclude Mearsheimer – sostiene che l’occidente ha un interesse nell’Ucraina. Chi è interessato all’Ucraina è la Russia, e per controllarla è pronta a fare molto, molto di più di quanto è disposto a fare l’occidente”.