Lettere al Direttore Il Foglio 20.11.2014

Se l’amara resa dei cattolici sia un danno e una beffa oppure un tantino snob

1-Al direttore - Gavin Kenyon, l’autore del monumento fallico che fa imbestialire Milano, dice che “vuole solo discutere”. O forse, battere il record di lettere minatorie di Pisapia.

Maurizio Crippa

2-Al direttore - I cinque di Grillo. Dal Pentateuco al Pentaminus. Dalla voce possente del Regno dei Cieli allo stanco frinire del Regno dei grilli.

 Moreno Lupi

3-Al direttore - Le follie di Hillary. Vabbe’, Gulfstream compreso mi sembrano cose normalissime a quel livello, perfino parche. Un ufficio stampa prevede attrezzature, hummus e crudité costano come le pizze. La suite presidenziale negli alberghi la mettono apposta per queste cose. Nel complesso mi sembra che costi meno di un consigliere regionale, che so: siciliano, a differenza del quale sa di cosa parla.

Guido Valota

4-Al direttore - E’ vero che, come viene detto in un icastico editoriale del Foglio del 27 novembre, la tecnica del “più uno” può risultare un mezzo farlocco di lotta politica. Ma, soprattutto a proposito del Piano Juncker, nelle settimane scorse presentato come una svolta rispetto alla linea di austerity e assorbente la maggior parte delle richieste in materia di “flessibilità”, è difficile sbarazzarsi delle critiche. Lo stesso Mario Draghi, che lo ha valutato positivamente, ha auspicato poi che abbia le giuste dimensioni. Chi può a ragione ritenere che un fondo  di 21 miliardi, di cui 16 dell’Unione,   una parte dei quali proveniente da  definanziamenti, con una leva da 1 a 15, possa essere l’emblema della svolta da tanti auspicata nelle politiche europee? Non si abbatte il Piano, nella maggior parte delle critiche, ma se ne vuole un più che ragionevole miglioramento dimensionale e operativo. Lo stesso si dica per il presidente della Bce:  dato l’attuale ordinamento dell’Istituto, egli certamente  non può agire come la presidente della Fed. Ma è sufficiente che ottemperi al mandato per il mantenimento della stabilità dei prezzi, che per lui è un imperativo categorico, e promuova il “quantitative easing” di titoli pubblici che, come ha detto anche Trichet, non ha alcun ostacolo di natura giuridica. Piuttosto Trichet ha ricordato che le delibere della Bce si possono prendere a maggioranza relativa (intelligenti pauca) cosa che chi scrive sta ricordando da tempo. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

5-Al direttore - Sull’amara resa di Antonio Gurrado. La pura – e triste – verità. Aggiungo solo una cosa, ovviamente in peggio: questa cultura porta come sottoprodotto inevitabile una crescente invasività dello stato nella sfera privata (non foss’altro perché lo stato deve finanziare con le tasse la trasformazione in diritto di qualunque pretesa avanzata dalle varie minoranze). Dunque – per molti – la prospettiva è ben peggiore di quella che viene prefigurata nell’articolo: il “buen retiro” è consentito infatti solo ai conservatori che se lo possono premettere, mentre tutti gli altri dovranno sputare sangue  per il resto della loro vita per finanziare le pretese insaziabili di un modello di società che detestano. Dunque, per i primi c’è solo il danno (morale), per i secondi anche la beffa (economica).

 Mark Bosshard

6-Al direttore - Su Gurrado. Tutto limpido, giusto e sacrosanto. Ma osservare il mondo credendo di essere parte del “resto d’Israele” appare terribilmente snob.

Ilio De Santis

7-Al direttore - Mi stanno simpatici, i Nazareni, e faccio i salti di gioia al pensiero di un Pd che imbocchi decisamente la Terza via. Ma non capisco perché, se Renzi è addirittura il figlioccio del Cav. come sostiene lei, la resistenza interna al nuovo corso renziano, anziché essere riconosciuta per quello che è, fedeltà, giusta o sbagliata che sia (e per me è sbagliata), al tradizionale programma della sinistra fatto di intervento statale, iper-tassazione degli abbienti, veti sindacali, è delegittimata come inaccettabile ed epurabile forma di conservatorismo rosicone. Espediente retorico efficace, ma viziato da settarismo, a meno di non immaginare un sistema partitico in cui al pluralismo si sostituisca la rivoluzione liberale permanente e obbligatoria per tutti.

Daniele Montan

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