Lega a -19,1% rispetto al 2010

Il suo risultato sembra grande rispetto al tracollo di FI

 di Giorgio Ponziano twitter: @gponziano Italia oggi   

Un paradosso della politica: la vittoria può essere controproducente. Matteo Salvini gongola per il risultato ottenuto in Emilia-Romagna, con la Lega diventato secondo partito. A spese di chi? Di Forza Italia, i cui dirigenti emiliani hanno un diavolo per capello. Si erano opposti in ogni modo a un candidato governatore leghista a capo del centrodestra.

Ma non c'è stato nulla da fare di fronte a un patto tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini che avrebbe dovuto sanzionare i prodromi di un'alleanza in vista delle elezioni politiche (quando ci saranno). Così i leghisti hanno potuto giocare su due piani: il primo rivolto ai tradizionali elettori del centrodestra con slogan sull'alternativa alla sinistra, la deregulation burocratica su scala regionale, il taglio alle tasse locali, il secondo coi temi cari ai seguaci di Alberto da Giussano, dalla chiusura dei campi nomadi al rimpatrio degli immigrati.

In pratica la Lega ha tagliato l'erba sotto i piedi di Forza Italia, già prostrata per il declino della leadership dell'ex-Cavaliere e per un guado che non riesce a superare. Per Salvini è stato un gioco da ragazzi proporsi come il post-Berlusconi (con un pizzico in più di polemica a sfondo razziale) e come l'anti-Renzi (con cui condivide la telegenicità). Insomma, come Renzi ha sparigliato lo scorso anno le carte a sinistra, lui ha fatto adesso a destra, non limitandosi a coltivare il suo orticello (come faceva Umberto Bossi) ma calpestando l'erba del vicino. Ecco quindi che nel giorno in cui Salvini raccoglie i frutti della sua strategia i berluscones emiliani avvertono: mai più con la Lega. Che significa: ognuno faccia la sua gara, sotto le proprie bandiere, poi, se necessario, ci si allea. Ma niente più inciuci prima e soprattutto mai più mettersi al servizio di un candidato leghista (che poi ti frega). Un'analisi che, assicurano i dirigenti forzisti locali, ora è condivisa anche dal cerchio magico berlusconiano: questi risultati impongono la fine dell'embrasson nous con la Lega, altrimenti Forza Italia subirà a livello nazionale la stessa sorte che le è toccata in Emilia-Romagna: il drastico ridimensionamento del proprio ruolo, residuale rispetto alla Lega.

Salvini ha vinto una battaglia ma sembra destinato a perdere la guerra per la leadership del centrodestra. Il suo exploit ricompatta le anime un tempo berlusconiane, da Alfano a Casini, da Fitto a Verdini. Quando la casa rischia di crollare, meglio fare fronte comune. Già si parla di un incontro di Giovanni Toti con Maurizio Lupi e Nunzia De Girolamo, mentre Berlusconi ha tanto apprezzato un'intervista di Lupi (in cui il ministro ha ipotizzato la creazione di «nuovo soggetto politico» e proposto un'intesa sulla legge elettorale e un freno «all'estremismo della Lega») che alla presentazione di un libro ha affermato che «riunire tutto il centrodestra è una necessità, un dovere e anche un mio augurio».

Con Salvini alle porte, Alfano non è più un traditore, Casini può tornare con onore all'ovile, Lupi (e il mondo di Comunione e liberazione) può ben sostituire l'ormai acciaccato Roberto Formigoni. Un osservatore politico come Piero Ignazi, docente all'università di Bologna, afferma: «I risultati di Salvini e della Lega possono essere fiammate destinate a non mantenersi nel lungo periodo. La Lega ha fatto un buon risultato in Emilia-Romagna passando dal 13% del 2010 al 19%, ma non è stato chissà quale cambiamento. Piuttosto, è stata Forza Italia ad aver perso veramente. Il centrodestra oggi è in evoluzione proprio perché quello di Berlusconi non è più il partito centrale della coalizione, è nel pieno di una fase di disgregazione che porterà sicuramente a una futura riaggregazione anche se è difficile sapere adesso quali saranno le modalità».

Un altro politologo, Paolo Pombeni (ha tra l'altro fondato la rivista Ricerche di storia politica), aggiunge che il buon risultato della Lega è dipeso dalla debolezza di Forza Italia: «Da un lato l'anima più “becera” della destra sta rifluendo nella Lega Nord, dall'altro quella più moderata è debole. Forza Italia è in crisi perché è ancora retta da un vecchio signore un po' sfiatato, e in questa campagna elettorale regionale non s'è quasi visto. Mi sembra di ritrovare gli atteggiamenti dei vecchi liberali prima dell'arrivo del fascismo, un partito in disarmo».

L'istituto Carlo Cattaneo, emanazione del pensatoio intellettuale del Mulino, sottolinea, in controtendenza, che in realtà non vi è stato un trionfo della Lega nelle elezioni di domenica e che il dato che si riferisce al partito di Salvini fa scalpore solo perché è accostato al tracollo di Forza Italia. Quindi il segretario leghista canta vitttoria ma i fatti sono altri: «Il voto per la Lega Nord – è l'analisi dell'istituto- presente con la propria lista solo in Emilia-Romagna, ha visto crescere significativamente i propri consensi, raddoppiando il numero di voti delle recenti europee (+100,6%), ossia una crescita di +117.045 voti. Tuttavia, se consideriamo il dato delle elezioni regionali del 2010, allorché la Lega Nord ottenne il massimo storico in regione in termini di percentuali (13,7%), si registra una considerevole contrazione pari a circa un quinto del consenso ottenuto in quella occasione (–19,1%, 55.162 voti in meno). Il risultato di Forza Italia alle elezioni regionali è nettamente negativo in entrambi i contesti in cui si è votato. In Calabria il partito di Silvio Berlusconi ha perso circa quattro elettori su dieci rispetto alle consultazioni europee (–38,0%) ossia una riduzione di 51.048 voti, e addirittura una riduzione di due terzi dei consensi che ottenne nel 2010 (–66,5%) pari a –175.952 voti. In Emilia-Romagna la debolezza di Forza Italia è stata ancora più netta: ha perso il 63,1% dei voti che aveva nel 2014 alle elezioni europee, ossia un decremento di 171.473 voti, mentre nel confronto con il 2010 la riduzione è stata di oltre l'80%, con una diminuzione in voti assoluti di 417.630 unità».

Quindi l'analisi politologica è più orientata a indicare il tracollo forzista e mette qualche dubbio sull'avanzata leghista. Infine Carlo Galli, politologo del Mulino e deputato Pd, sostiene che c'è stato qualche flusso di voto anche dal Pd verso la Lega. Il motivo? Se si gioca sul populismo l'elettore può preferire quello originale, garantito a quello (un po' approssimativo) di Renzi: «Il Pd», afferma Galli, «ha ormai mutato geneticamente la sua base sociale e si fonda su un rapporto tra politica e società che vede la rappresentanza come qualcosa di accessorio, e secondario. E' un populismo diverso da quello novecentesco che puntava sulle masse, preferisce molti individui isolati. Se vanno a votare bene, altrimenti bene lo stesso. Basta avere una legge elettorale che con qualche marchingegno assicuri la vittoria».

Il Pd quasi come la Lega, per questo, sembrano concordare i politologi, i moderati potrebbero riacquistare un ruolo sostanziale, abbandonando la Lega e diventando un argine al populismo. Che è poi quanto va predicando al vento (di Arcore) Raffaele Fitto.

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