D'Alema non sopporta l'idea che Renzi riesca

a fare quello che lui non ha fatto

 di Sergio Soave , Italia Oggi 6.9.2014 Italia Oggi

Dopo un breve periodo di tregua, che i maliziosi imputano all'attesa di un qualche incarico di livello europeo, Massimo D'Alema ha ripreso le ostilità nei confronti di Matteo Renzi. Naturalmente non c'è da stupirsi che un esponente politico sottoposto a «rottamazione» non sia grato a chi ha avviato questo processo, però il fatto che l'attacco sia comprensibile non significa che sia giustificato. D'Alema in sostanza non accetta che il leader del Partito democratico sia presidente del consiglio, nonostante questa sia ora la regola statutaria adottata dal suo partito. Se c'è qualcuno che dovrebbe sapere bene quanto sia pericoloso per un premier lasciare ad altri la guida del proprio partito è proprio D'Alema, che quando arrivò, anch'egli senza mandato elettorale diretto, a Palazzo Chigi, lasciò a Walter Veltroni la guida dei Democratici di sinistra, ruolo dal quale il suo successore manovrò per approfittare del primo scivolone del premier, un insuccesso alle elezioni regionali, per indurlo alle dimissioni, che poi accettò di buon grado.

In quasi tutte le grandi democrazie europee se il governo spetta al leader di un partito, la direzione di fatto del partito è esercitata dalla stessa persona, anche se in qualche caso la funzione formale di segretario è affidata a un altro esponente. In ogni caso nessuno dubita che il leader della Cdu sia Angela Merkel o quello del Ps francese sia François Hollande (anche ora che ha un gradimento che vale un terzo di quello registrato da Matteo Renzi). Solo in Italia la distinzione tra la guida del partito e quella del governo, imposta dalla congiura dorotea ad Amintore Fanfani sessant'anni fa, è diventata una regola, regola che ha reso così fragili i governi da provocarne una durata media di meno di due anni. D'Alema lo sa benissimo, ha lavorato con alterni insuccessi a riforme istituzionali (concordate anche da lui con Silvio Berlusconi, nonostante ora si scandalizzi perché Renzi fa lo stesso) che dovevano stabilizzare i governi in un sistema di alternanza e, nella riforma licenziata dalla sua bicamerale, incardinati addirittura in un sistema semipresidenziale alla francese.

A quanto apre D'Alema non sopporta proprio questo, che Renzi possa alla fine realizzare un disegno di riforma complessivo che i suoi predecessori, a cominciare naturalmente da lui, non sono riusciti a completare. È lo spirito per così dire retroattivo dell'attacco che lo rende poco credibile, che sembra una ricaduta nel vezzo autolesionistico che ha caratterizzato la sinistra italiana in tutto il dopoguerra, indipendentemente dalla fondatezza delle critiche sull'efficacia dell'azione governativa.

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