Mare nostrum, la porta girevole bloccata alla fermata

Italia. L’operazione umanitaria è stata giusta. La gestione

politica e diplomatica un disastro. E ora l’Ue ci tratta da paria

di Cristina Giudici | 21 Agosto 2014 ore 15:06

Milano. Un conto è l’eroismo della macchina umanitaria del salvataggio e dell’accoglienza, oltre centomila fra profughi e migranti arrivati sulle coste italiane dall’ottobre scorso,  9 milioni di euro spesi ogni mese dalla Marina militare per soccorrere, salvare e mettere in sicurezza chiunque si trovasse alla deriva su imbarcazioni fatiscenti nel canale di Sicilia. E un conto è fare un bilancio, non solo economico, ma piuttosto problematico, dell’operazione Mare nostrum. Perché se è vero, come ha affermato il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che “siamo campioni di accoglienza, abbiamo evitato che il Mediterraneo divenisse un lago di morte”, è anche vero che molti, non solo quelli iscritti al partito della tolleranza zero verso gli immigrati, cominciano ad avere dubbi. Anche fra gli stessi operatori che fanno funzionare l’ingranaggio dell’accoglienza e hanno paura, mentre offrono cure sanitarie, di scoprire infezioni virali difficili da contrastare. O temono addirittura lo spettro dell’Ebola.

Innanzitutto però c’è il problema degli enormi costi pagati da uno stato (il nostro) indebitato e alle prese con continue emergenze a cui non riesce a far fronte. Disoccupati e precari a ogni nuovo sbarco alimentano il proprio rancore sociale. E i residenti delle metropoli, dove ogni giorno dai treni scendono centinaia di profughi, che cominciano a mostrare una preoccupante insofferenza. E poi perché fino ad ora la nostre coste sono sempre state solo un approdo per transitare verso l’Europa.

Finora le istituzioni si affidavano al seguente stratagemma: non identificare chi si rifiutava di essere identificato per non dover applicare la Convenzione di Dublino, che prevede che ad offrire rifugio – o asilo politico – sia il primo paese in cui avviene la richiesta, o su cui il migrante sbarchi e sia identificato. Una convenzione capestro, come si vede, ma assai difficile da modificare. Li lasciavano andare, come fossero fantasmi, per indurli a spostarsi più a nord, Francia, Germania, Svezia. Soluzione pragmatica, nonostante il governo italiano chieda da tempo un permesso temporaneo europeo che permetta di chiedere lo status di rifugiato in tutti gli stati membri, onde evitare che chi arriva debba nascondersi nei container, pagare anche un passeur, alimentando il traffico degli scafisti di terra.

E infatti ora che 22 profughi siriani sono stati rimandati indietro dalla Germania al Brennero – secondo il Viminale ci sono altri centinaia di casi di respingimenti terreni alle frontiere dei paesi membri – l’Italia rischia di diventare un paese imbuto, dove i profughi arrivano e si fermano, come avevano già previsto medici e operatori umanitari sin dall’inizio della primavera scorsa, timorosi di non riuscire a farsi carico di tutti i richiedenti “aiuto”.

Ecco perché Alfano, pur sapendo che non è soluzione praticabile, ha chiesto a Frontex, l’organizzazione europea che contribuisce ai salvataggi ma con mezzi più scarsi rispetto a quelli di cui sono dotati la Marina militare e la Guardia costiera, di sostituire Mare nostrum, “che non deve compiere un altro compleanno”, ha dichiarato il ministro dell’Interno nei giorni scorsi, spiegando all’Europa che dal prossimo ottobre Mare nostrum si deve fermare. L’Europa però non ha capito, o ha capito benissimo e ha detto no. Così è iniziato il rituale scaricabarile. Il portavoce della Commissione europea, Antoni Gravili, ha subito snocciolato cifre per dimostrare l’impegno europeo: 500 milioni dati all’Italia dal 2007 al 2013 e altri 315 milioni di euro in arrivo per il 2014 fino al 2020, che però vengono destinati solo all’accoglienza, secondo fonti della Marina militare. Così, ora tutti quelli che erano contrari all’operazione hanno buon gioco a parlare del fallimento di Mare nostrum. Insomma un bel pasticcio. Anche perché se è vero che guerre civili e persecuzioni in Africa e medio oriente provocano esodi biblici verso l’Europa, è anche vero che i dati dei migranti sbarcati rispetto al 2011, quando scoppiò la primavera araba, sono raddoppiati. Quindi è ovvio che trafficanti di esseri umani considerano Mare nostrum una cambiale in bianco per aumentare l’immenso business dei viaggi della fortuna, come notava anche l’Economist la scorsa settimana.

Il rimpallo di responsabilità fra Bruxelles e Roma dimostra l’incapacità di affrontare e risolvere questa emergenza che non si ferma, non si fermerà mai. Come dice un ufficiale della Marina militare al Foglio, ora all’emergenza se ne aggiunge un’altra: il rischio terrorismo. “Fino ad ora, grazie alla vigilanza di tutte le forze dell’ordine che hanno identificato l’identità di chi arrivava, molti di quelli finiti nella black list degli islamisti sono stati respinti. Ma con la recrudescenza dei conflitti religiosi, molti integralisti potrebbero infiltrarsi e l’Italia è entrata nel mirino dell’Isis”. Che fare dunque? Respingerli non si può, continuare ad accoglierli neanche. Ammettere che Mare nostrum, sebbene abbia ridotto l’eventualità delle stragi nel Canale di Sicilia, alla fine sia stata anche un fallimento o quanto meno non possa essere considerata una soluzione permanente è però necessario per trovare altre strade. Condivise da tutti gli stati membri, che come l’Italia che si volta dall’altra parte quando vede i passeur portare i profughi verso il nord d’Europa, per ora sta a guardare. E intanto ai cittadini siciliani, calabri, pugliesi, tutti quelli che vivono in una città portuale trasformata in un hub per profughi – convinti che l’Africa si stia riversando verso l’Europa, terrorizzati all’idea della pressione demografica in continuo e costante aumento – non resta che sperare che arrivi l’autunno, il mare mosso, le correnti avverse, che sembrano essere, per ora, gli unici deterrenti, gli unici nemici delle organizzazioni criminali, che ingrossano i loro forzieri grazie al traffico di esseri umani.

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