Napolitano la riforma della giustizia penale la vuole, sì

Il no ai privilegi, la guerra (vinta) sulle intercettazioni.

Consigli al governo

di Redazione | 20 Agosto 2014 ore 06:30

Da quando si è incominciato a discutere in termini concreti di riforma della giustizia, ovviamente un tema sensibile, sul quale è naturale che venga richiesto il parere del presidente della Repubblica, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, si è avviata una sorta di campagna di stampa tendente a insinuare che Giorgio Napolitano abbia assunto la funzione del frenatore, soprattutto sulle tematiche che hanno attinenza con la giustizia penale: dalla questione delle intercettazioni a quella della responsabilità civile dei magistrati. Non c’è nessuna dichiarazione pubblica del Quirinale che autorizzi questa lettura, costruita solo attraverso “retroscena” giornalistici la cui attendibilità è naturalmente dubbia. Se Napolitano insiste sull’urgenza di affrontare le tematiche di riforma, si trasforma il suo appello “a non dividersi” su questi problemi nell’esortazione a dare la precedenza solo a riforme “non divisive”, termine orribile e che difficilmente può essere attribuito al vocabolario assai sorvegliato del capo dello stato. Naturalmente sarebbe ridicolo contrapporre ai retroscena altri retroscena altrettanto immaginari, ma si può ragionare sulla coerenza tra gli atteggiamenti adottati dal presidente in occasioni precedenti e quelli che sembra ragionevole attendersi da lui in quella attuale.

 Le levate di scudi dei magistrati a difesa di loro privilegi, quando si sono espresse nella sede del Consiglio superiore della magistratura, hanno spesso suscitato una reazione critica da parte di Napolitano, che ha sempre voluto ricordare come la potestà legislativa sia solo del Parlamento. Sulla questione delle intercettazioni, totem di certa sinistra, fa scuola la battaglia combattuta da Napolitano in prima persona contro la procura palermitana con il suo vittorioso ricorso alla Corte costituzionale per imporre la distruzione delle intercettazioni che coinvolgevano illecitamente il Quirinale. Naturalmente si può pensare che l’anziano presidente, che ha una lunghissima esperienza parlamentare, abbia consigliato all’esecutivo di mettere un po’ di ordine nella presentazione di disegni di legge e di decreti, per evitare di determinare ingorghi che risultano poi l’occasione più favorevole per innescare manovre dilatorie o azioni di ostruzionismo. E’ anche possibile, persino probabile, che abbia insistito per rendere le proposte legislative più puntuali e meno generiche, proprio per evitare che il contenuto riformista venga poi vanificato, com’è accaduto tante volte, attraverso interpretazioni regolamentari o giudiziarie che ne annullano di fatto l’efficacia.

L’ordinamento giudiziario plenipotenziario

Napolitano è senz’altro consapevole della difficoltà a riformare la giustizia in Italia, dove l’ordine giudiziario si è voluto attribuire di fatto poteri esuberanti di controllo politico, che hanno in sostanza determinato una situazione di squilibrio tra le istituzioni a detrimento soprattutto di quelle rappresentative della sovranità popolare. Durante il suo ormai lunghissimo periodo presidenziale, ha promulgato tutte le norme di modificazione dell’ordinamento o delle procedure giudiziarie, anche quando si levavano grida assordanti contro le leggi “ad personam” alcune delle quali poi furono cassate dalla Consulta. Dipingerlo come un nemico della riforma della giustizia non corrisponde alla realtà del suo comportamento effettivo, illuminato dalla sua aperta battaglia per l’umanizzazione del sistema carcerario, che rinvia a misure di clemenza che sono osteggiate in modo ossessivo dal fronte giustizialista.

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