Convertiti e sposami. Il Califfato vuole eredi
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dalle yazide prigioniere
di Redazione | 19 Agosto 2014 ore 17:14
Roma. “Se tu fossi musulmana ti sceglierei”. I miliziani dello Stato islamico guardano le ragazze yazide prese prigioniere durante l’attacco contro Sinjar. Sono 1.500 secondo il governo iracheno, 1.074 quelle contate e riconosciute dal Sinjar Crisis Group, un’organizzazione di attivisti yazidi con sede a Washington. Più di due settimane fa, quando hanno fatto irruzione nella cittadina di Sinjar, in piena notte, i miliziani islamisti hanno allineato gli uomini ai muri e li hanno fucilati. Hanno trovato poca resistenza, l’esercito curdo dei peshmerga che proteggeva la città, rimasto senza munizioni, si era ritirato all’inizio degli scontri. A seguito dell’attacco decine di migliaia di profughi sono fuggiti sulle montagne Sinjar e sono rimasti assediati e senza viveri fino alla settimana scorsa, quando i bombardamenti mirati dell’America e un’offensiva via terra dei curdi non sono riusciti a rompere l’accerchiamento.
A Sinjar i miliziani dello Stato islamico hanno radunato le donne rimaste, hanno diviso le ragazze dalle madri e dalle donne anziane, le hanno caricate sui loro mezzi. Le hanno portate nella prigione di Badoosh, fuori Mosul, poi le hanno divise in piccoli gruppi e trasferite. Non si sono preoccupati della sicurezza, forse non hanno perquisito le donne, molte di loro avevano il telefono cellulare con sé, hanno chiamato i parenti, raccontato il viaggio ammassate nei camion dello Stato islamico, il trattamento in prigionia, gli spostamenti.
La giornalista Liz Sly, capo dell’ufficio del Washington Post a Beirut e in questi giorni corrispondente dal nord dell’Iraq, ha raccolto in un articolo uscito domenica (“In Iraq, captured Yazidi women fear the Islamic State will force them to wed”) le testimonianze delle ragazze prigioniere. Ne ha sentite alcune per telefono, si è fatta raccontare cosa stava succedendo dai familiari, ha registrato i resoconti dei sopravvissuti agli attacchi dei miliziani come la donna yazida Ali, 40 anni, che oggi è nella città curda di Dahuk, ma che due settimane fa ha visto dieci uomini dello Stato islamico fare irruzione nella casa dove si stava nascondendo con i suoi sei figli. I miliziani li hanno spostati in una stanza, hanno dato acqua a un bambino piccolo che piangeva, poi hanno notato la figlia di Ali, 15 anni. L’hanno portata fuori, dove avevano già radunato gli uomini. Ali ha sentito degli spari, quando è uscita dalla stanza gli uomini erano morti a terra, le ragazze sparite.
A tutte le ragazze yazide prigioniere i miliziani dello Stato islamico offrono due alternative. Convertirsi all’islam, avere una buona vita e una bella casa – e un marito musulmano, che non viene mai citato ma è implicito, perché sotto la legge islamica del Califfato le donne non possono vivere da sole – oppure tenersi la loro religione falsa, rimanere prigioniere per tutta la vita e rischiare l’esecuzione. Secondo le testimonianze sentite da Sly, i miliziani non maltrattano le ragazze (anche se nei centri yazidi attaccati sono stati trovati i cadaveri, alcuni carbonizzati, di donne e bambini). Non le sfiorano, letteralmente, perché sono apostate e l’islam estremo del califfo vieta ai fedeli di toccare una donna non musulmana. Quando un guerrigliero iracheno ha accarezzato una di loro, ha raccontato una ragazza, il suo superiore proveniente dal Maghreb gli ha fatto tagliare un dito. Però i miliziani sono spesso ragazzi ventenni che combattono da mesi, e le ragazze yazide sono prede di guerra. A volte la situazione è minacciosa e tesa, una bambina di 11 anni è stata portata in un cortile e gli uomini, senza toccarla, l’hanno circondata per osservarla, altre volte i miliziani iniziano a pregare le ragazze di convertirsi e lasciarsi sposare. “Ci supplicano”, ha detto una testimone a Sly. “Ci promettono qualsiasi cosa, ci dicono che ci daranno una casa e una vita felice”. Le ragazze più belle e più giovani sono assediate dalle proposte e dalle minacce, il Califfato ha bisogno di eredi, e gli uomini del califfo vogliono una ragazza da sposare, non importa se convertita di fresco. Molti sono arrivati in Siria e in Iraq da lontano, e tra le promesse che li hanno convinti a combattere c’era anche questa.
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