L’islamismo feroce, le molli complicità dell’occidente
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Riluttanza a condannare l’anticapitalismo. Il Papa
e la guerra (quasi) giusta
di Sergio Soave | 19 Agosto 2014 ore 06:30
La violenza che ha origine nell’estremismo islamista invece di stimolare analisi oggettive e preoccupate, e una reazione giustamente indignata da parte dell’opinione pubblica che si autodefinisce umanitaria, trova risposte confuse e poco convincenti sul piano strategico, e ancor più una sorta di rimozione infastidita, quando non addirittura giustificazionista, in vasti settori dell’intellettualità occidentale. Angelo Panebianco in un magistrale editoriale del Corriere della Sera di ieri assimila queste “complicità occidentali” – che in diversa gradatura ideologica o religiosa insistono sempre sulle “colpe dell’occidente” – a quelle che nelle democrazie del secolo scorso si schierarono a sostegno del nazismo e del comunismo, con l’intenzione più o meno esplicitatata di volersi differenziare dal carattere materialistico e individualistico della civiltà occidentale capitalistica. E’ facile mettere in berlina chi parli di “quinte colonne” dentro l’occidente, ma le complicità ideali ci sono. Si può solo aggiungere una postilla: quel materialismo e quell’individualismo denigrati sono gli aspetti più evidenti ma anche più superficiali di una civiltà che ha saputo fare crescere la scienza e la conoscenza in base a un rispetto fondamentale per la libertà della persona umana. Il razzismo e il classismo, cioè nazismo e comunismo, rappresentano deragliamenti tragici da una secolarizzazione che resta invece la frontiera dialettica di società libere e democratiche, in cui le idee si confrontano e competono senza presumere mai di distruggere il competitore.
Si tratta di una postilla di un certo rilievo, se si cerca di ragionare sugli antidoti allo scivolamento nella complicità o nell’indifferenza di fronte all’aggressione islamista (che continua a mietere vittime tra cristiani ed ebrei e pure tra gli stessi musulmani). Un ruolo centrale in questo campo spetta ovviamente al cristianesimo, non solo per l’attacco che subisce direttamente, ma per il suo carattere oggettivo di fonte di ispirazione spirituale della realtà occidentale. Naturalmente i cristiani non intendono dare corpo a riletture strumentali di scontro di religione oramai millenari. Ovvio che si punti al dialogo, alla ricerca di un rispetto reciproco, alla promozione comune della pace. Il rischio che questa volontà di dialogo venga fraintesa e trasformata in una sorta di sincretismo vagamente umanitario era ben presente a Benedetto XVI, che ne illustrò i pericoli a Ratisbona, quando denunciò il rischio del relativismo (e l’assurdità della sua pretesa di assolutismo) come radice della dissoluzione della funzione specifica dell’evangelizzazione.
Su quella denuncia, mal digerita dai laicisti e denunciata come una nuova crociata da settori dell’islamismo, su quel concetto si fonda il discrimine tra l’esercizio di una funzione di guida spirituale autonoma e la subalternità a una sorta di senso comune irenista. Parlando ai vescovi asiatici, Francesco ha ripetuto in forma adamantina il concetto di Joseph Ratzinger: “Il relativismo oscura lo splendore della verità”. Il Pontefice ha preso il suo posto naturale di guida spirituale della resistenza alle persecuzioni e alle violazioni di ogni diritto umano da parte dell’estremismo islamico. E ieri ha detto alla stampa: “Quando c’è una aggressione ingiusta, posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto”. Non c’è da illudersi che la più precisa assunzione di responsabilità della chiesa riduca l’area della complicità oggettiva con l’estremismo islamico nel mondo intellettuale, come non c’è da illudersi che le condanne spesso un po’ sommarie che Bergoglio elargisce al consumismo e all’etica del capitalismo possano attenuarsi. Ma va apprezzato lo sforzo di allontanare la chiesa da certe sanguinose “complicità occidentali”.
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