Sberle (d’establishment) agli intellò dei miei stivali

Parabola italiana, da un libro di Einaudi rifiutato

da Einaudi Jr. a Rodotà&co

di Marco Valerio Lo Prete | 18 Agosto 2014 ore 08:58

Matteo Renzi dice “basta al discussionismo”, poi propone addirittura di misurare “le responsabilità delle élite culturali nella crisi italiana”. Modi sprezzanti o spicci nei confronti degli intellettuali? “Ma che… bellissimo piuttosto!”, esclama Guido Roberto Vitale parlando con il Foglio. La riflessione del decano dell’investment banking milanese sugli intellò in rivolta ai tempi di Renzi, più che dalla lettura de “Le catene della sinistra” (Rizzoli) del collega Claudio Cerasa (“molto divertente, lo sto finendo”), è conciliata da un episodio inedito che gli è tornato in mente in questi giorni. “All’inizio degli anni 90 pensai di ripubblicare a mie spese un migliaio di copie di un libro cui ero particolarmente legato, per farne una strenna natalizia. Il libro era ‘Lezioni di politica sociale’, di Luigi Einaudi. Era il frutto di alcune lezioni universitarie tenute dall’economista durante l’esilio svizzero cui era stato spinto dal fascismo. Un manifesto per una sinistra liberale, pubblicato per la prima volta dalla Einaudi nel 1949, nel quale un liberale all’inglese come Einaudi teorizzava che i patrimoni ereditari dovessero essere eliminati dalle imposte di successione nel giro di tre generazioni, in cui si parlava di mutue, sindacati. Linfa vitale per chi, a sinistra, non voleva sfilare col pugno chiuso”.

La prende un po’ alla larga, apparentemente: “Proposi a Giulio Einaudi, figlio di Luigi e a capo dell’omonima casa editrice, di ripubblicarlo. Mi rispose sbrigativamente di ‘no’ e dovetti aspettare la sua scomparsa per ottenere ascolto e ripubblicarlo a mie spese con l’aiuto della casa editrice”. Cosa c’entri con gli alti lai lanciati in queste settimane da esponenti della chattering class alla volta di Renzi è presto detto: “Quella casa editrice, che aveva egemonizzato la Cultura con la ‘C’ maiuscola, era diventata la cinghia di trasmissione del modo di pensare della sinistra italiana”, dice Vitale.

i. Non lo trova emblematico della storia culturale italiana?”. Qualcuno potrebbe replicare che si trattasse di un problema interno alla sinistra: “No. Forse non lo compresi subito ma era la prova di una classe dirigente, anche culturale, dalle vedute ristrette, non all’altezza di un paese che è nelle prime otto economie del mondo”. Il fatto che le riflessioni di Einaudi sul mercato non fossero considerate degne di essere pubblicate e soprattutto pubblicizzate, ragiona Vitale, era la spia di un modo di ragionare, quello per cui “sono sempre ‘ben altri’ i problemi veri, che stanno a cuore ai cittadini e a tutti noi. Perché se oggi l’Italia è ridotta così com’è ridotta, lo dobbiamo a 40 anni di malgoverno o non governo, e la sinistra ha responsabilità più gravi della destra. La sinistra, sostenuta dagli intellettuali, ha sempre ritenuto di essere l’unica conoscitrice e depositaria del bene comune della nazione. Presunzione che a destra non c’è stata”.

Così oggi è tutt’altro che sorprendente lo scontro tra gli intellò e “il primo presidente del Consiglio del XXI secolo che abbia l’Italia. Anche io ho fatto lo scout, lo dico subito. Poi lui non avrà lo spessore culturale di certi suoi predecessori, ma ha una gran voglia di fare e di decidere”. E proprio la parola “decidere”, se ripetuta troppe volte e magari seguita da qualche fatto, fa rizzare i capelli ai professoroni (cit.): “Loro predicano la ricerca del consenso fine a se stesso. Che però genera paralisi. Non a caso il paese è bloccato”. Considerata la pesante eredità, “Renzi si potrà valutare seriamente tra un anno e mezzo almeno”. Nel frattempo Vitale ammette di avere un debole per quasi tutte le uscite pubbliche più contestate del premier: da quella per cui il governo decide e i sindacati se ne facciano una ragione, a quella per cui su Alitalia o si faceva una scelta drastica su duemila persone oppure ci sarebbero stati undicimila disoccupati. “Banalità per un paese moderno, si intenda. Ma se Renzi decide, ecco che Gustavo Zagrebelsky si sente escluso. Se col Parlamento cambia la Costituzione, Stefano Rodotà lamenta di non essere stato consultato. La politica è ricerca del consenso e… de-ci-de-re!”. Da ex presidente di Rcs, oggi con partecipazioni nell’editore Chiarelettere, non potrà negare di aver contribuito ad animare il mondo culturale italiano: “Ho fatto quanto potevo, con scarsi risultati – conclude Vitale – Ma di fronte ai tacchini-intellettuali che provano solo a rimandare il giorno di Natale, e aborrono le decisioni perché non vogliono perdere le loro posizioni di rendita e potere, allora bene Renzi che scuote un paese quasi in stato comatoso!”.

© FOGLIO QUOTIDIANO

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