Marchionne. Contro l'eurocalvinismo. La virtuosa
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emancipazione di Marchionne dai vizi continentali
L’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne, si è emancipato da alcuni dei peggiori vizi che oggi opprimono la crescita economica in Italia e più in generale nell’Eurozona. In questo modo – a voler riassumere in poche parole i primi dieci anni del manager italo-canadese al comando del Lingotto – ha salvato quella Fiat che nel 2004 sembrava destinata a portare i libri in tribunale. Perciò la parabola della prima azienda manifatturiera italiana può essere qualcosa di più che un semplice “business case” per gli esperti del settore automobilistico.
Il manager in pullover, come emerso ancora una volta durante la sua ultima apparizione pubblica a Trento, domenica scorsa, ha rottamato per esempio una certa inutile verbosità che caratterizza le classi dirigenti italiane. Invece di ricamare in maniera retorica attorno alla presunta “cultura industriale italiana”, ha preferito spiegare che alcune forti discontinuità col passato si sono rese necessarie dopo la crisi mondiale del 2008. “In Italia e in Europa – ha detto – abbiamo reagito malissimo allo stimolo di cambiamento imposto dalla crisi. Nel nostro paese continuiamo a ripetere che la produttività scende; guardiamo le slide e poi andiamo a cena”, ha detto con scarso estro poetico ma con notevole efficacia. Per questo, di fronte all’atteggiamento diffuso da “cervi impauriti di fronte ai fari di un’automobile”, ha rivendicato il superamento della concertazione perpetua tra governo, industriali e sindacati, superamento certificato con l’uscita del Lingotto dalla Confindustria due anni fa: “Confindustria non si è messa a disposizione del cambiamento delle regole contrattuali”. Contratti aziendali e pace sindacale per assecondare le necessità produttive Marchionne li ha conquistati dunque nello scontro frontale con la Fiom-Cgil e grazie ai voti favorevoli dei lavoratori nei suoi stabilimenti: “Oggi chi rimane in Confindustria lo fa per altre ragioni – ha detto a Trento di fronte al direttore del confindustriale Sole 24 Ore, Roberto Napoletano – Perciò Fiat in questo momento non ha bisogno di Confindustria”. Anche sullo stato attuale dell’Eurozona l’ad di Fiat-Chrysler è intervenuto alla sua maniera. Marchionne ha fatto intendere infatti che la partnership con Chrysler dall’altra parte dell’Oceano – oltre a garantirgli l’accesso all’enorme mercato americano, ai fondi pubblici di Barack Obama e alla tenacia dei lavoratori di Detroit – gli ha consentito di sfuggire all’attendismo burocratico-brussellese sul settore dell’auto. Non solo: insediarsi dall’altra parte dell’Oceano Atlantico gli ha permesso di lasciarsi in parte alle spalle un “calvinismo che si è sviluppato in Germania in materia di rigore finanziario” e di trovare rifugio negli “Stati Uniti che non hanno seguito questo approccio ma piuttosto hanno stampato soldi”. Questo “calvinismo oggi non ha più spazio in Europa”, ha detto con toni esortativi l’ad di Fiat-Chrysler, sposando piuttosto “l’agenda del presidente del Consiglio Renzi”. E se l’inflazione è scesa perfino in Germania, nel mese di maggio, ai minimi da quattro anni (meno 0,1 per cento da aprile), certificando continui squilibri nelle politiche monetarie e fiscali dell’Eurozona, allora anche al presidente della Bce Mario Draghi e al premier Matteo Renzi potrà tornare utile ascoltare le lezioni pragmatiche del pullover.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 3 giugno 2014 - ore 10:14