Ora a Berlino conviene un'asse con l'Italia di Renzi
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più che con la Francia di Hollande
di Edoardo Narduzzi , Italia Oggi 27.5.2014
La vittoria di Marie Le Pen in Francia e di Nigel Farage nel Regno Unito hanno sicuramente impresso un significato diverso al risultato elettorale europeo. In due grandi paesi dell'Unione si sono imposti partiti dichiaratamente antieuropei e contrari alla moneta unica, ipotizzare di poter far finta di niente e di poter rivolgere lo sguardo altrove è semplicemente impossibile. L'Europa con questi livelli di tensione, imposti da Trattati con regole meccanicistiche piovute dal nulla (la regola del 3% del deficit sul pil, ad esempio, è una invenzione di due economisti francesi all'epoca della presidenza Mitterrand che hanno candidamente confessato che la stessa non ha alcun razionale difendibile), non solo non va avanti verso l'integrazione, ma rischia perfino di perdere dei pezzi. Serve quindi un salto di qualità.
Molto più interessante, comunque, il confronto a distanza che c'è stato tra le diverse piattaforme proposte dai partiti della famiglia del Pse ai rispettivi elettorati. Solo in Italia il partito appartenente al Pse ha vinto, con un distacco storico, le elezioni, mentre i socialisti francesi, guidati da Francois Hollande, sono stati umiliati e hanno raccolto un misero 13%. Il partito francese è rimasto incatenato alla tradizione della sua cultura tassaiola e welfarista, quella che odia ogni forma di successo del capitale nella vita sociale e in qualche modo sintetizzata dal pensiero di Thomas Piketty nel suo Il capitale nel XXI secolo. In Francia, tra i socialisti, si sognano aliquote fiscali sui redditi al 75 o addirittura all'80% e imposte patrimoniali che i comunisti cinesi mai oserebbero pensare e molto forte rimane il legame con il sindacato. Il Pd di Renzi, invece, ha condotto una campagna elettorale promettendo riduzioni di imposte, tagli alla burocrazia e liberalizzazioni. Soprattutto il premier ha avuto il coraggio di disertare il congresso della Cgil dando il segnale più forte possibile agli elettori riformisti italiani: la concertazione, che per lustri ha tenuto incatenato il pil italiano, non fa più parte della cultura di governo.
La sinistra welfarista alla Hollande esce rottamata dal voto europeo e con essa un'idea di un'Europa incatenata alla sua organizzazione del Novecento e incapace di prendere atto che la globalizzazione ha cambiato irreversibilmente le regole del gioco. Il Pd post Cgil di Renzi diventa, invece, un moderno partito riformista di massa capace di offrire alla Cancelliera Merkel una sponda vera per traghettare l'euro oltre la volatilità. A Berlino, se sanno fare di conto ed elaborare visioni coraggiose, ora conviene coltivare l'asse con Roma così potranno spingere Parigi a fare le riforme che Hollande neppure osa nominare.