A Berlino le urne non fanno paura. Tutti

i numeri che rassicurano Merkel sull’euroleadership tedesca

Lunedì mattina, in paesi pur diversi tra loro come la Francia, la Grecia, l’Italia e l’Olanda, i politici al governo si sveglieranno con un filo d’ansia addosso. Il voto che si conclude domenica in tutto il continente, infatti, oltre a decidere la composizione del Parlamento europeo, può destabilizzare gli equilibri politici interni di alcuni stati. Almeno a giudicare dagli ottimi risultati che i sondaggisti prevedono per i movimenti populisti e anti establishment. L’ansia delle cancellerie magari passerà presto perché Syriza ad Atene non avrà superato il partito di governo Nuova democrazia, o perché in Italia il Pd di Matteo Renzi sarà riuscito alla fine a tenersi alle spalle Beppe Grillo, o perché in Francia e Olanda l’astensionismo avrà avuto ragione di Marine Le Pen e Geert Wilders. Fino a lunedì mattina, comunque sia, c’è da attendere. Quasi dappertutto, eccezion fatta che in Germania. Quello tedesco per il Parlamento europeo è il “voto tranquillo” per eccellenza. Certo, anche a Berlino questa volta si farà vivo nelle urne un fronte euroscettico, complice la decisione della Corte federale di Karlsruhe di cancellare la soglia di sbarramento della legge elettorale. Alternative für Deutschland, il movimento dei professori “no euro” che critica le troppe concessioni fatte ai paesi mediterranei, potrebbe raggiungere il 7 per cento, mostrando allo stesso tempo – con i suoi attacchi di infausta memoria alla “democrazia degenerata” – quanto siano imprevedibili gli esiti della nuova Questione che si è aperta attorno all’identità tedesca. Tuttavia il prossimo lunedì di Angela Merkel sarà decisamente diverso da quello di Hollande, Renzi e Samaras: la cancelliera ha già fatto sapere che si incontrerà con gli altri due leader della Grosse Koalition che governa il paese, Horst Seehofer della Csu e Sigmar Gabriel dell’Spd, per tornare a guidare assieme l’esecutivo dopo la campagna elettorale che li ha momentaneamente divisi, e per concordare le nomine degli esponenti tedeschi nella nuova Commissione di Bruxelles. Lunedì, insomma, la Germania ricomincerà a portarsi avanti col lavoro; gli altri poi inseguiranno. Più del “fair play” tra i partiti, aiuta il fatto che l’economia reale tedesca si trovi ancora su un pianeta diverso rispetto al resto dell’Eurozona: la recessione è terminata ovunque (anche se il pil italiano ha subìto una ricaduta a inizio anno), ma in Germania la ripresa è più che consolidata e il paese proprio ieri ha perfino potuto permettersi di ammorbidire i vincoli del sistema pensionistico, con una spesa aggiuntiva di 60 miliardi da qui al 2020. Il pil nei primi tre mesi del 2014 è salito dello 0,8 per cento dal trimestre precedente e del 2,3 per cento dal 2013. L’85 per cento dei tedeschi, secondo il Pew Research Center, ritiene che la propria situazione economica sia “positiva” o “molto positiva”, contro il 43 per cento degli inglesi, il 12 dei francesi e il 3 degli italiani.

Il nostro sarà pure un eccessivo piangersi addosso, ma il tasso di disoccupazione in Italia viaggia sopra il 12 per cento, in Germania è meno della metà.

Non ci sono soltanto i record dell’economia nazionale ad alimentare la tranquillità di questo voto europeo nel paese guida dell’Eurozona. Ieri la giornata sui mercati si è aperta con la decisione di Standard & Poor’s di alzare il rating della Spagna, da “BBB-” a “BBB” con outlook stabile, perché “migliorano crescita e competitività”; mentre la Grecia si è vista assegnare una “B” da Fitch (era “B-”), anche se il suo debito resta “spazzatura”. Piccoli segnali, ma per le classi dirigenti di Berlino si tratta delle ennesime conferme di una cura che funziona. “Anche il nostro elettorato è generalmente soddisfatto di come è stata gestita la crisi nell’Eurozona, considerato che non esistevano ricette già pronte – dice al Foglio Gunther Krichbaum, parlamentare della Cdu di Merkel e presidente della commissione del Bundestag per gli Affari europei – I tassi d’interesse sul debito sono sempre lo specchio della fiducia dei mercati. A giudicare dagli spread (ieri quello tra Btp italiano e Bund tedesco è sceso di nuovo a 179, ndr), questa fiducia sta tornando. Le riforme strutturali e i nuovi vincoli europei alle politiche fiscali funzionano. Anche se non tutti i problemi sono risolti, è così dimostrato che la linea della cancelliera di tenere unita l’Eurozona era la linea giusta. Chi scommetteva sulla disgregazione, invece, ha perso”. E allora come si spiega l’aumento del numero di elettori che questa disgregazione la auspicano? “In Francia le riforme sono state rimandate, la crescita è diminuita e il debito è aumentato.

Tutto questo è alla radice dell’avanzata di un movimento come il Front national che in Germania invece non esiste”, dice Krichbaum. Che poi aggiunge: “Per lavorare efficacemente e nell’interesse del proprio paese all’interno delle istituzioni comunitarie, servono parlamentari dedicati e preparati, non degli arruffapopoli. Un’affermazione del Front national, perciò, indebolirebbe ancora la Francia”. Un altro motivo – a voler essere maliziosi – per rimanere tranquilli, in Germania.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 24 maggio 2014 - ore 10:30 

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