Ora si vota sulla Questione tedesca. Europopulismi

e nazionalismo economico. Ammissioni di Schröder

La Questione tedesca è al centro del voto europeo di questo fine settimana. E non soltanto perché così vogliono i cosiddetti “populisti” – dall’italiano Beppe Grillo che imputa a Matteo Renzi meschine “leccate” per ingraziarsi Angela Merkel, al britannico Nigel Farage che parla di “Europa sottomessa” a Berlino – né perché la difficile situazione economica spinge alcuni conservatori e socialdemocratici europei alla ricerca di capri espiatori nel ricco nord Europa. Il fatto che il posto della Germania nel mondo sia di nuovo destinato a dividere, piuttosto, si evince da un passaggio di “Klare Worte”, il libro-intervista pubblicato di recente da Gerhard Schröder, nel quale l’ex cancelliere tedesco socialdemocratico ammette che “la moneta unica ha rafforzato il dominio della Germania in Europa, contrariamente alle intenzioni dell’ex presidente francese François Mitterrand”. Prendere sul serio il nesso tra euro e Dominanz, per l’élite politica tedesca, finora era stato quasi un tabù.

“Tuttavia qualcosa sta cambiando. Queste sono le prime elezioni per il Parlamento europeo, dal 1979 a oggi, con al centro la Questione tedesca, cioè un parallelo strisciante con quanto accadde nel 1871, quando la nascita del Reich disintegrò gli equilibri del continente”, dice al Foglio Hans Kundnani, direttore per la Ricerca dello European Council on Foreign Relations (Ecfr). Kundnani, invitato in questi giorni in Italia dalla rivista Limes, osserva che generalmente i tedeschi appaiono “offesi e sconcertati, in definitiva chiusi” di fronte a “ogni richiamo della storia pre-1945 al fine di interpretare gli eventi di oggi”.

Eppure, dalla crisi dell’euro alla crisi in Ucraina, “sono sempre più indiscutibili, perfino nel dibattito domestico tedesco, i segnali di un risveglio geopolitico di Berlino, non più piattamente identificabile con lo schieramento occidentale”. Kundnani – studioso inglese che divide il suo tempo tra Londra e Berlino, alla guida di un think tank tutt’altro che euroscettico e finanziato da Bruxelles, governi dell’Ue e importanti soggetti privati – non si fa problemi a resuscitare il concetto di “semiegemonia” con cui lo storico tedesco Ludwig Dehio descriveva la posizione della Germania appena fondata da Otto von Bismarck: “Un paese non abbastanza forte da imporre la propria volontà sul continente, ma allo stesso tempo sufficientemente forte per essere percepito come una minaccia dalle altre potenze”. Una posizione instabile che nel Diciannovesimo secolo generò insofferenze di vario tipo e che, in maniera più o meno decisiva, portò ai due conflitti mondiali. Finita la Guerra fredda, per varie ragioni saremmo “tornati a quel punto”, dice Kundnani: “In termini geopolitici Berlino è divenuta una potenza benigna, in termini geoeconomici l’instabilità prevale”.

La Germania si è abilmente avvantaggiata con delocalizzazioni produttive nell’est del continente e compressione salariale in patria per rilanciare la propria economia. Poi a suon di riforme ha distaccato la Francia sempre stagnante e ha così contribuito a rendere inservibile il motore franco-tedesco, “creando allo stesso tempo una situazione per cui l’Europa è identificata con la Germania e con le condizioni da lei fissate”. Kundnani cita pensatori che ammettono l’egemonia “strutturale” esercitata oggi da Berlino, dal filosofo di tendenza socialdemocratica Jürgen Habermas allo storico euroscettico Dominik Geppert: “Non si tratta, per loro, di colpevolizzare il paese. Piuttosto di spiegare come una Germania unificata non possa comportarsi altrimenti nel continente europeo”. Più difficile trovare chi ammetta anche l’esistenza di un côté ideologico della nuova Questione tedesca, una versione contemporanea della Kultur tedesca che predomina sulla Zivilisation francese o anglosassone: “E’ più difficile fare questo discorso in Germania perché implicitamente si adombra un parallelo tra le ‘intenzioni’ di allora e quelle di oggi. Ma è indubbio che quello che nel 1990 fu chiamato da Habermas ‘nazionalismo del marco’ si è trasformato adesso nel ‘nazionalismo dell’export’”, dice lo studioso inglese. “Un trionfalismo giustificato dai propri risultati economici, anche in termini di competitività e commercio con l’estero, che a mo’ di missione Berlino dovrebbe ora esportare al resto dell’Eurozona.

Per salvarla”. Il “nazionalismo” tedesco, in definitiva, cambia pelle ma si rivede, non soltanto nei peggiori incubi dei populisti europei. Questo nazionalismo non è più associato al militarismo, ben inteso, ma è tutt’altro che foriero di stabilità. Resta infatti il carattere di “semiegemonia” che terremotò il Vecchio continente alla fine del Diciannovesimo secolo. Lo ha certificato due giorni fa, per esempio, il Fondo monetario internazionale, sostenendo che il paese guidato dalla cancelliera Merkel sarà pure “un’ancora di stabilità” fiscale, ma  – tra investimenti domestici carenti e liberalizzazioni a singhiozzo – non si è trasformato in un “motore di crescita” per l’Eurozona. E a cinque anni dall’inizio della crisi che ha investito tutto il resto del continente non è poco. Ieri il premier Matteo Renzi ha detto che “il racconto un’Italia schiacciata dalla Germania è profondamente falso”, tuttavia secondo Kundnani quella attuale è “una situazione che nel medio-lungo termine non sarà sostenibile né in termini storici né in termini economici, come dimostrato dagli squilibri delle bilance dei pagamenti o dall’aggiustamento fiscale asimmetrico”. Adesso le ipotesi sul futuro sono due: “Da una parte la scarsità d’investimenti e l’inverno demografico potrebbero ridurre naturalmente il potere economico tedesco, riallineandolo a quello degli altri paesi. Oppure questo divario di performance economica con Francia e Italia diventerà strutturale. In questo secondo caso, diverrà cronico il tentativo di costituire coalizioni tra stati per cambiare il corso delle scelte di Berlino”. E’ già successo nel 2012, secondo il direttore dell’Ecfr, quando il piano salva euro di Mario Draghi fu propiziato dalla messa in minoranza di Merkel durante un Consiglio Ue. Non si tratta di un modo efficace per procedere: “Peggio, è un antagonismo pericoloso. A voler tornare al parallelo storico di prima – conclude Kundnani – non direi che siamo già al 1914, ma al 1895 sì”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 21 maggio 2014 - ore 06:59

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