Così i sindacati incatenano la crescita. Piccole resistenze
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corporative che imbrigliano il pil. I casi di Bologna e Roma
Il pil cala ancora, alcuni analisti avvertono del rischio stagnazione e di certo la flemma sindacale non contribuisce a ritrovare l'agognata crescita. Due vicende hanno del grottesco e insieme danno il senso della sclerosi del sindacato. Da Bologna a Roma. A Bologna la Cgil osteggia in solitaria il progetto del fondatore dei celebri centri commerciali del cibo (con ristoranti annessi) Eataly, l'imprenditore Oscar Farinetti. Fabbrica italiana contadina (Fico) è una Disneyland del cibo come la definì il Wall Street Journal che si estende su 80 mila metri, sorgerà al posto della ex fiera di Bologna, dovrebbe portare cinquemila posti di lavoro e attirare cinque milioni di visitatori l’anno. Il comune appoggia il progetto, e la Coop Adriatica spalleggia Farinetti. A fare oltranzismo ideologico c'è la Cgil. Farinetti (ex craxiano e ex Pds) è stato demonizzato dal sindacato di Susanna Camusso a livello nazionale e locale per i contratti temporanei e interinali che propone ai suoi 17mila dipendenti italiani e per la sua amicizia con il premier Matteo Renzi (“fa quello che Renzi vuole trasformare in legge con il Jobs Act”, disse Sonia Sovilla Filcams-Cgil Bologna). Il 25 aprile – coincidenza con la festa della Liberazione – alla Eataly di Bologna il mancato rinnovo di un contratto di un lavoratore interinale è stato preso a pretesto per scioperare. Non sono mancati metodi di protesta post-luddisti (al ristorante è stata anche rotta una vetrina). Se anche a Milano Farinetti avesse trovato la stessa ostilità da parte del sindaco, Giuliano Pisapia, ora il capoluogo meneghino non avrebbe un punto Eataly nei locali del vecchio teatro Smeraldo e nemmeno i 200 posti di lavoro che garantisce ad altrettanti giovani, come ha scritto ieri il direttore di Italia Oggi Pierluigi Magnaschi per dire che l’intransigenza sindacale a Bologna sa ormai di “ottocentesco”. Con buona pace del sindacato di Camusso, da settembre partiranno le assunzioni per il progetto Fico (s’attende una pioggia di curricola in una regione con 37mila giovani in cerca di lavoro, dati 2013).
A Roma, invece, la flemma sindacale ha rischiato di negare l'apertura serale del Colosseo per la “notte dei musei”, in programma questo fine settimana. “Siamo stanchi e sotto organico, non ce la facciamo con i turni di ogni giorno, per questo abbiamo detto no”, dicevano i dipendenti contrari a lavorare fuori orario. L’adesione era volontaria, ma la paga era garantita. Le trattative con i sindacati confederali sono durate tre giorni da quando il ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha lanciato l’allarme “rischio chiusura”, il sindaco di Roma, Ignazio Marino ha offerto il personale comunale (pur sapendo che non avrebbe portato a nulla). Scene un po’ pietose. Adesso, dopo avere contrattato su un afflusso contingentato di turisti – limitato a 500 ogni mezz’ora – e con un orario ridotto rispetto ai programmi iniziali – dalle 20 alle 22.30 (solo prenotazione) –, per riuscire a fare numero tra i custodi ci saranno anche la soprintendente archeologa, quella Mariarosa Barbera che aveva fatto da cicerone al presidente americano Barack Obama, e il direttore scientifico del monumento statale più visitato d’Italia. Come se i direttori del Prado o del Louvre facessero i vigilanti per tenere aperti i “loro” musei (copyright Il Messaggero). I i dipendenti sono in tutto ventinove, servivano almeno nove persone per restare aperti e, forse, si arriverà a quindici volenterosi. Per il premier Renzi lo “scandalo” alla fine è stato evitato perché il Colosseo aprirà e s’attendono tremila visitatori. Ma forse lo scandalo è che lo scandalo si sia anche solamente sfiorato.
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FQ. di Alberto Brambilla – @Al_Brambilla, 16 maggio 2014 - ore 17:00