“Task force”? Renzi e l’Expo. Cantone è diventato

il grande simbolo della trattativa tra lo stato e Saviano

Ma chi è questo Raffaele Cantone? Questa mattina Matteo Renzi arriverà a Milano, visiterà i cantieri dell’Expo, proverà a offrire al Commissario straordinario Giuseppe Sala rassicurazioni sul futuro dell’Esposizione universale e cercherà di dare a Milano, all’Italia e all’opinione pubblica alcune spiegazioni rispetto a un tema che ha incuriosito l’attenzione degli osservatori e con il quale il presidente del Consiglio proverà a combattere (anche dal punto di vista mediatico) l’onda anomala generata dalla tornata di arresti per corruzione portata avanti dalla procura di Milano. L’espressione chiave scelta dal governo per far cambiare verso alla percezione che l’Expo sia in mano a una grande cupola che governa nel segreto e nell’illegalità gli appalti dell’Esposizione universale è quella ormai nota – e molto abusata – della “task force”. E la persona a cui Renzi ha scelto di affidare le chiavi di questa operazione kleenex corrisponde a un volto della magistratura in grande ascesa e diventato ormai celebre: Raffaele Cantone. Ma chi è questo Cantone? Da dove viene? Come ha fatto ad arrivare fin qui? Che senso ha questa scalata? E davvero, come si dice, si muoverà per commissariare la dilaniata e divisa e tormentata procura di Milano? In alcune importanti procure italiane, Cantone – classe 1963, napoletano, lunga esperienza nella lotta alla camorra, evoluzione garbata e meno manettara del dipietrismo, notevole grafomane, molti libri scritti (con Mondadori), ottimi contatti nel mondo del giornalismo (adorato nelle redazioni dei grandi giornali), buona parlantina, un piede nella Cassazione (con un posto nell’Ufficio del Massimario della Suprema corte), rapporti con gli ambienti governativi avviati nel 2012 ai tempi del governo Monti durante la preparazione della riforma Severino (l’ex ministro della Pubblica amministrazione Patroni Griffi affidò a lui la stesura della parte amministrativa della riforma sulla corruzione), stimato ma non stimatissimo dagli attuali vertici della magistratura italiana –  viene definito come il frutto necessario della trattativa tra il centrosinistra e l’opinione pubblica, tra i leader del Pd e gli editoriali di Saviano, tra le posizioni del Partito democratico e gli appelli di don Ciotti. La storia comincia così.

E in effetti, Renzi non è il primo ad avere scelto Cantone come Paladino della lotta alla criminalità. Nel 2010 fu Veltroni a suggerire a Bersani di puntare sul pm come candidato sindaco di Napoli (non ascoltato). Nel 2013 fu Letta, dopo un editoriale di Saviano dedicato alla scarsa attenzione mostrata dal governo al tema corruzione, a scegliere subito Cantone come componente della task force per l’elaborazione di proposte in tema di lotta alla criminalità organizzata (il risultato della trattativa tra governo e opinione pubblica venne presentato con orgoglio da Letta nel salotto di Fabio Fazio). E alcuni mesi fa Renzi ha scelto proprio Cantone come presidente dell’autorità nazionale anti corruzione (voto favorevole di tutti i gruppi parlamentari, compreso il 5 stelle). Dal punto di vista politico, la scelta di Cantone, oltre a un chiaro significato di natura mediatica, presenta altri aspetti interessanti. Se servirà a combattere o no la corruzione all’ Expo è difficile da dire (alla domanda “cosa farà Cantone?” a Palazzo Chigi nessuno è in grado di rispondere in modo preciso). Ciò che è certo è che, da un lato, portare un commissario straordinario a Milano permetterà a Renzi di “de-milanesizzare” la vigilanza sull’Expo e di dare al governo la possibilità di avere una voce in capitolo importante sui più delicati dossier della manifestazione (logica politica: finora tutti questi soldi sono stati gestiti a Milano ora per evitare pasticci il controllo sarà anche a Roma). Dall’altro lato, la presenza di una task force sulla corruzione ha l’effetto di affiancare l’attività investigativa della procura di Milano e di allargare l’attenzione del governo non solo ai problemi legati alla lotta alla corruzione ma anche ai problemi legati a chi combatte la corruzione. Gli arresti della scorsa settimana hanno rimesso al centro della scena le vicende legate alla fase tafazziana vissuta dalla procura di Milano. In calce all’ordine di custodia cautelare firmato dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati mancava, come ricorderete, la firma di Alfredo Robledo (capo del pool sui reati contro la Pubblica amministrazione) perché quest’ultimo, dell’inchiesta, non aveva condiviso “l’impostazione”. Il passaggio non è diretto, ovvio, ma non ci vuole molto a capire che una task force specializzata nella corruzione che affianca il lavoro della procura non può che suonare come una sorta di commissariamento. E se lo scontro dentro il Palazzo di Giustizia andrà avanti ancora a lungo chissà che non arrivi un qualche ispettore del ministero della Giustizia per capire, vent’anni dopo Tangentopoli, cosa sta succedendo non solo all’Expo ma anche alla mitica procura di Milano.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 3 maggio 2014 - ore 09:48

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