Caro Franceschini, prima si legga “le catene” di Cerasa

Il suicida disprezzo per la tv della sinistra tuttolibri.

“Benigni ha vinto, ma siamo spacciati noi”

Ma come è potuto venire in mente a Dario Franceschini, ministro della Cultura e à ses heures scrittore non privo di eleganza, di accusare la televisione pubblica e privata per aver danneggiato i libri, avvilito la civiltà, diseducato le masse? Di dire che dovranno restituire il maltolto e concedere più spazio palla cultura, agli scrittori? Come se non bastassero i vari “Masterpiece”, le rubrichette in coda ai tg, le domeniche pomeriggio per liceali molto a modo, la presenza di intellettuali, psicanalisti e assimilabili, mattina pomeriggio e sera e pure al tocco di mezzanotte, il professor Cacciari tre volte alla settimana. Per non parlare di noi, giornalisti, vecchie e più o meno utili pantegane, costrette a mostrarsi per coltivare l’illusione di esistere. Il pubblico è sfiancato: dategli anche una tavola rotonda con avallonemurgiascuratigiordanosaviano e stramazza al suolo, “Apostrophes” all’italiana come soluzione finale.

Meglio non fare nulla, ci guadagneranno tutti. Lasciare i libri ai libri e a chi li vuole leggere; la cultura a chi se la vuole fare, faticosamente. Ma soprattutto lasciare la televisione a chi la vuole vedere così com’è, orrenda o sublime secondo i giorni, i momenti: il telespettatore sa di avere in mano il potere assoluto, il telecomando e l’on-off. A forza di voler educare e rieducare, elevare e migliorare, c’è pure il rischio che qualcuno prenda la cosa alla lettera e dica che alla televisione servono scrittori umanisti, nota categoria dello spirito: quando invece le servono idee buone e possibilmente nuove, grande qualità di scrittura e inventiva nel linguaggio.

D’evidenza Franceschini non ha letto “Le catene della sinistra”, ultimo pamphlet del nostro Claudio Cerasa in cui si parla, tra le altre cose, della cosiddetta sindrome di Checco Zalone che la tiene prigioniera. Il disprezzo per la tv e per chi la guarda, immaginato come volgo ruttante e mal vestito venuto su a “Drive in” e a mariedefilippi che al cinema va per vedere i “Soliti idioti” e se legge legge Fabio Volo. Gli altri, invece, comprano l’Adelphi appena esce e fanno la fila per Cannes e Venezia, amano il cinema afghano: sono questi che la sinistra ha allevato e coccolato fino all’asservimento. E’ il partito della cultura che domina oggi la sinistra, tiene insieme renitenti e refrattari di ogni sorta, registi che prendono aiuti dallo stato per girare film che nessuno vedrà, teatranti convinti che sia loro diritto occupare un luogo per farne bene comune, intellettuali in velluto a coste, contro la televisione commerciale e il suo inventore. Franceschini non è mai stato comunista, Renzi nemmeno. Il premier però ha capito da tempo che non porta da nessuna parte scommettere sulla sola differenza culturale e morale, dividere a forza gli elettori in buoni e cattivi, i colti e quei barbari che vanno ai giochi a quiz e dicono che Hitler è andato al potere in Germania nel 1978. Sembra invece che il ministro della Cultura debba fare ancora uno sforzo.

Nel libro di Cerasa c’è una citazione da “Post-italiani” del compianto Edmondo Berselli. Spiega magnificamente come si manifesta il pregiudizio e la genesi della sconfitta: “Se siamo ridotti a dover assumere per ragioni di opportunità e di schieramento una boiatina come ‘La vita è bella’ di Roberto Benigni il nostro futuro è segnato. E se addirittura per motivi indicibili per vizio conformista e per incallimento del giudizio, ci piace, e arriviamo a pensare che sia un capolavoro, una lezione di poesia e di umanità, è inutile che ce lo nascondiamo: ‘Robbberto’ ha vinto, ma siamo spacciati noi”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Lanfranco Pace. 10 maggio 2014 - ore 10:30

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