Europee, il voto inutile. Dai conti alla ripresa,

a Bruxelles decidono tutto i governi

La differenza che c’è tra il Parlamento europeo e quelli che prendono le vere decisioni è molto chiara agli occhi dei cittadini”, si è lasciato sfuggire qualche tempo fa Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio dell’Unione europea. Conferma più autorevole dell’inutilità del voto del 25 maggio per il Parlamento europeo non ci poteva essere: Bruxelles non cambia verso perché il Parlamento glielo chiede. Ieri Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times, è partito dalle parole di Van Rompuy per spiegare che “votare non muterà l’equilibrio dei poteri dell’Europa”. L’economista tedesco non crede che l’irrilevanza degli organismi comunitari, sopraffatti dagli stati, sia stata determinata dall’espoldere della crisi e dalla palese assenza di istituzioni adatte a fronteggiarla. Il fallimento degli euroburocrati, piuttosto, è stato “intellettuale”: gli strumenti legislativi li hanno cercati e trovati i leader di governo, mentre nella Commissione Ue – ricorda Munchau – qualcuno nel 2008 si preoccupava al massimo degli effetti del crollo di Lehman Brothers sulle norme che tutelano la concorrenza. Gli elettori dunque sono avvertiti, tutt’al più potranno inviare un segnale di discontento attraverso il Parlamento. Che questo sia raccolto è un altro paio di maniche. Conta di più, ancora una volta, avere un governo che costantemente e credibilmente difenda i propri interessi a Bruxelles. Ieri la Commissione ha detto per esempio che il nostro pil crescerà dello 0,6 per cento nel 2014 e dell’1,2 nel 2015, meno di quanto stimato dal governo (0,8 e 1,3). Starà al premier Renzi e al ministro Padoan evitare di farsi sopraffarre diplomaticamente a giugno, quando sarà valutata la richiesta italiana di rinviare il pareggio di bilancio nel 2016, triangolando coi governi per far ragionare i tecnocrati targati Ue.

Foglio, 6 maggio 2014 - ore 06:59

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