Oggi il mio eroe è un privilegiato

che non si vergogna di sé

Il mio eroe oggi si chiama Tal Fortgang. E’ studente a Princeton. E’ maschio, bianco, indisponibile al politicamente corretto. Al culmine di una discussione con un compagno del campus è stato bollato con la frase, luogo comune del senso di colpa occidentale molto diffuso nelle Università americane: “Check your privilege”. Vuol dire, per esteso: “Non me ne frega niente delle tue idee, tu sei socialmente un privilegiato, ed è per questo che ti esprimi così e ti permetti di dissentire da me”. Tal si è arrabbiato, e ha scritto un saggio per un giornale conservatore del campus, “The Tory”, che sta facendo molto rumore e ha messo sulla difensiva i Pol. Corr. di mezzo establishment americano.

Del brocardo che doveva tappargli la bocca (“ma guarda al tuo status di privilegiato”) ha scritto: “La frase, scagliata dai miei superiori morali, colpisce senza scrupoli, come un drone autorizzato da Obama, e si abbatte guidata da un laser sulla mia complessione di pelle bianca rosa-pesca, sulla mia mascolinità, e sul carattere con cui ho proposto un’opinione fondata sul mio modo di vedere le cose”. Il riferimento al drone laser-like del presidentissimo dei piacioni black (soprattutto se bianchi della tinta liberal), alla complessione della pelle con la sua sfumatura primaverile, al gender non ideologicamente ottimale, troppo netto per l’universo Lgbt, e la pretesa di proporre le sue idee senza complessi e rigettando censure moralistiche dei suoi “superiori”, tutto questo fa in una sola frase, di quel saggio, un piccolo capolavoro. Una ribellione eroica, solitaria ma comunicativa, giustamente imbarazzante per la certezza liberal, per la banalità del progressismo andante e corrente.

Tal Fortgang è subito stato proposto come modello anche da stupidi razzisti culturali, da gentucola di ambienti suprematisti, ma non è del novero. La sua storia di famiglia contempla un paio di generazioni di perseguitati del totalitarismo, con internamento a Bergen Belsen, pogrom e altre Delikatessen, e infine un buon business dei genitori che gli ha consentito di studiare e farsi le ossa in un campus prestigioso (“ma io non ho neanche un ossicino di razzismo nel mio scheletro”). “Check your privilege” l’ha considerato un modo offensivo di interpellarlo perché sottende l’idea che il merito non esista e che, Piketty insegna, le diseguaglianze si riproducono non solo per la rendita del capitale superiore al reddito da lavoro, ma anche e soprattutto per la trasmissibilità ereditaria dello status. E questa trasmissione guasterebbe l’ordine egualitario, lo schema moralistico e pauperista che si radica nell’odio verso il diritto di essere socialmente ciò che si è, e di essere giudicato in base ad altri parametri che non siano il privilegio sociale.

Nel suo saggio Fortgang si dichiara orgoglioso della sua tradizione familiare, si distingue per la serietà e sobrietà dell’argomentazione da qualsiasi tracotanza o arroganza a sfondo razziale o classista, e alla fine il suo eroismo coincide con il common sense e con un’idea tollerante e complessa della solidarietà sociale e della mobilità tra le persone attraverso la selezione per merito, insomma una manna per un mondo affetto dalla peste del correttismo intollerante, il mondo dei Piketty e di certi eccessi predicatori sulla scia di papa Francesco. “Per quanto io non abbia certo fatto ogni cosa con le mie sole forze fino al punto in cui sono giunto ora nella mia vita, qualcuno prima di me si è sacrificato perché io potessi godere di una vita migliore, ma questo è un legato di cui sono fiero. Ho verificato dunque il mio privilegio (‘I checked my privilege’) e non ho niente di cui scusarmi”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

Giuliano Ferrara, maggio 2014 - ore 12:30

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