Dopo le sanzioni la Borsa di Mosca corre,
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è il “rialzo Obama”
Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno imposto nuove sanzioni alla Russia lunedì, e sia il rublo sia la Borsa di Mosca non ne hanno risentito, anzi la Borsa ha avuto rialzi fino all’1,5 per cento. I mercati non hanno preso sul serio la risposta data al Cremlino per le sue azioni nella guerra in Ucraina, e non lo ha fatto nemmeno Vladimir Putin. La scorsa settimana il segretario di stato americano John Kerry ha usato un linguaggio violento per descrivere le azioni di Mosca nell’Ucraina dell’est. Le forze speciali russe e i separatisti locali hanno occupato gli uffici governativi e minacciato giornalisti e oppositori. Alcuni sono stati torturati, un paio sono stati uccisi. Il sindaco indipendente di Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina, è stato colpito dagli spari lunedì: volevano ucciderlo. Venerdì, i signori della guerra sponsorizzati dalla Russia che hanno preso possesso di Sloviansk hanno preso in ostaggio osservatori dell’Osce.
Nonostante questo il presidente Obama ha ritardato l’annuncio di nuove sanzioni e poi le ha annacquate. La Casa Bianca ha preso di mira altri sette funzionari russi, vietando loro di viaggiare o fare affari negli Stati Uniti, e ha aggiunto 17 compagnie legate a sodali di Putin che erano già stati sanzionati. A questo ha dato seguito l’Unione europea, con le sanzioni dirette a 15 funzionari ucraini e russi, ma la lista include meno funzionari di rango e non comprende alcuna azienda. Il nome che spicca nella lista americana è quello di Igor Sechin, amico di Putin e falco del Cremlino che dirige la compagnia petrolifera statale Rosneft. Si aggiunge ad alcuni altri amici di Putin già sanzionati – nell’unica mossa coraggiosa da parte dell’America in tutta la crisi ucraina – subito dopo l’annessione della Crimea. La sua assenza era una svista corretta lunedì. Questo round di sanzioni è ancora una volta notevole per ciò che non è stato fatto. Il boss di Gazprom, Alexei Miller, portaborse di Putin durante i suoi giorni d’oro al Kgb negli anni 90, sembrava dovesse essere incluso nella lista. Eppure, secondo diverse fonti, il presidente Obama ha voluto tenerlo fuori. Il Cremlino e i mercati temevano che gli Stati Uniti intendessero colpire Gazprom, un importante strumento nella politica estera della Russia e nell’arricchimento dei suoi sodali. Vneshtorgbank e Sberbank, banche di risparmio, sono altre leve dello stato russo che avrebbero potuto essere incluse. Le sanzioni su interi settori dell’economia sarebbero state più efficaci e potenzialmente dannose. Alla fin fine l’Amministrazione non ha neppure sanzionato Rosneft, includendo il solo Sechin. Certo, le azioni di Rosneft sono scese dell’1,7 per cento a causa dei timori degli investitori sul futuro degli accordi commerciali della compagnia con Bp ed ExxonMobil. Ma Gazprom era in rialzo di oltre il 2 per cento, Sberbank del 5. Possiamo chiamarlo il “rialzo Obama”.
La Casa Bianca difende il suo approccio “calibrato” in quanto necessario ad assicurarsi che l’Europa rimanga al suo fianco. Ma l’Europa sarà sempre titubante, a meno che gli Stati Uniti non dimostrino di voler andare avanti da soli, per poi seguire la scia. Le sanzioni hanno senso solo se creano abbastanza problemi economici da far dubitare i russi della saggezza dell’imperialismo del Cremlino. Altrimenti non fanno altro che far apparire l’occidente debole e disunito. Su questo Putin ha sempre contato – e finora ha avuto ragione.
Il Foglio, maggio 2014 - ore 06:59
Editoriale apparso ieri, Copyright Wall Street Journal, per gentile concessione di MF/Milano Finanza