Maschi selvatici e non checche isteriche?
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Non è poi così male
"Sei come sei" di Melania Mazzucco non scandalizza, non serve ai gay e piace solo alle professoresse dem.
Fino a pochi giorni fa Sei come sei era unicamente il pessimo titolo di un romanzo poco venduto pubblicato nel 2013 da Melania Mazzucco, oggi è ciò che le professoresse democratiche chiedono al libraio per difendersi dall’idea di vivere in un mondo pieno di gente che urla "frocio" a qualcuno nel preciso intento di disprezzarlo. Un mondo in cui professori di lettere consigliano il romanzo in allarme anti-omofoba e vengono denunciati per corruzione di minori dalle associazioni pro-life. Un mondo in cui Forza Nuova sfila per le strade romane reggendo striscioni involontariamente camp (“Maschi selvatici! non checche isteriche”). È diventata una questione culturale: i libri non letti sono anche più scomodi di quelli letti. E compriamoceli, allora.
Se la questione è nel contenuto “pornografico” del testo, va ammesso che quella di Melania Mazzucco è una lettura per stomaci forti, anche se, anziché il giudice, chiederei un buon digestivo. Siccome il libro è un ibrido tra i più leziosi editoriali di Michela Marzano e la filmografia di Ferzan Özpetek – cioè la storia di una famiglia non convenzionale, del lutto di un compagno, dei due padri che crescono una figlia nata da maternità surrogata, del bullismo e della lotta in un mondo avverso – non sorprende che tutti si siano fiondati immediatamente a quell’unica pagina dove succede qualcosa: un pompino tra uomini. Per non rovinarne la prosa vi riporto qui la scena.
“Aveva un odore penetrante di urina, e un sapore dolce. Invece di dargli un pugno in testa, Mariani lasciò fare. Giose lo inghiottì fino all’ultima goccia e sentì il suo sapore in gola per giorni. Il fatto si ripeté altre due volte, innalzandolo a livelli di beatitudine infinita”.
Tralasciando lo stile da referto medico, c’è comunque qualcosa che non va; l’ellissi parla chiaro: l'atto meccanico, sussultorio, ripetitivo non c’è. Non immaginate neanche quanto sia offensivo per un gay, che dedica energie, sogni e speranze all’idea di corrompere un calciatore etero, che la pagina incaricata di raccontare il passaggio all’atto contenga una simile lacuna. È amorale descrivere il sesso così. Pessimo. No, non è solo il libro di una che non sa di amori gay, è il libro di una che non sa fare i pompini.
È tutto qui lo scandalo che ci meritiamo e per cui scomodiamo la libertà di letteratura e di insegnamento? Noi che speravamo di poterci accalorare intorno ai libri di Tony Duvert e Lee Edelman siamo costretti a indignarci per chi si accalora intorno alle opere minori di divulgazione sessuale italo-progressista. Che mestizia! E dire che la letteratura a tema omosessualità non manca care mie professoresse democratiche. Se l’intenzione è una prosa scabrosa, per scandalizzare con stile, ai limiti della censura, consiglio "Diario di un innocente" di Duvert o la descrizione del pompino di gruppo in "Petrolio" di Pier Paolo Pasolini; per un delizioso reportage turistico sessuale nel Maghreb c’è "Sodomie in corpo 11", nello stile aforistico ed elegante di Aldo Busi; per una posizione anti comunitaria potete usare Alberto Arbasino, che ha sempre preferito il cruising nei parchi e nelle biblioteche di Harvard alle discoteche e ai circoli arcobaleno; per il sofferto rapporto tra omosessualità e cattolicesimo c’è l'antigay Giovanni Testori de "Il Ponte della Ghisolfa" o di "Il Fabbricone"; se per capriccio voleste uscir dalla letteratura ed entrare nella corrispondenza epistolare potete scegliere le lettere che Marcel Proust inviava al figlio di George Bizet, suo compagno di classe, provandoci con insuccesso (oggi avrebbe usato WhatsApp o Grindr, chissà le schermate virali), riportate dal biografo William C. Carter nello splendido "Proust in Love". E le cose migliori avvengono quando si legge Testori vs Busi o Genet vs Platone! Certo che se l'obiettivo è promuovere il same sex marriage tra ragazzi che sono cresciuti con le stagioni di Will&Grace, di Girls o di looking mica serve la letteratura. Serve uno streaming.
Inizio a pensare che il nostro problema sia una mancanza di fantasia. Il contesto è penoso: scrittrici che usano "La-Repubblica-delle-Idee" per ispirarsi, conservatori di destra che mordono sdentati e non accettano il piacere di farsi scandalizzare, docenti illuminati che consigliano a dei ragazzi cattive letture nella desolante intenzione di indottrinarli alla loro idea politica, quella giusta. Da una parte la banalità del conformismo di sinistra con una retorica sciatta dell'amore, dall’altra parte la desolante vacuità della destra fatta di denuncie illiberali e censure, in mezzo noi che piuttosto che sederci vicino a una delle due contrapposizioni preferiamo rimanerne fuori. In piedi.
Non vorrei essere ingiusto: quello dei protettori gay-friendly è un lavoro durissimo e mal ripagato, perché lo fanno con un tale zelo da indebolirci senza accorgersene. Come la mia professoressa. (Una nota sul registro che mi fa sentire una vittima? Sarebbe stato più efficace dire: “Questo genere di parole non le usano neppure più gli arretrati bigotti in provincia di Vadegulfo di sotto, si aggiorni”). Vogliono essere dalla parte dei progressisti e educare il mondo alla tolleranza senza riuscire a sopportare minimamente il disprezzo altrui (quanta fatica si risparmierebbero se accettassero e insegnassero l’idea che non si può piacere a tutti, che puoi impedire di dire certe cose ma non di pensarle, e quindi ne ottieni solo una censura travestita da rispetto).
Una polemica le cui posizioni sono tanto scoraggianti non serve ai ragazzi delle superiori, non serve alla scuola che li deve educare, non serve alla letteratura che ci cresce, non serve ai gay né a tutti gli altri. Serve a scrivere su un registro che si è fatto il proprio dovere. Tutt'al più serve a vender qualche copia in più di un romanzetto. La coscienza è a posto. Il mondo non è cambiato.
FQ: di Manuel Peruzzo, 30.4.2014