Capitali all'arrembaggio. Dietro la contesa tra americani
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e tedeschi sulla francese Alstom c’è il richiamo geopolitico
di Mosca
No, non sono in ballo soltanto i posti di lavoro o la sede per il quartier generale del gruppo francese Alstom. Non sta in piedi nemmeno la suggestione lanciata dal ministro dell’Industria di Parigi, il socialista Arnaud Montebourg, cioè creare una sorta di Airbus, un polo energetico franco-tedesco, insieme a Siemens, in grado di sfidare il colosso americano General Electric. L’idea è bizzarra per ragioni industriali, ma soprattutto non coglie la vera posta in gioco. La partita in corso tra Parigi, Berlino e Washington ha un convitato di pietra a Mosca e si chiama Vladimir Putin.
Non ha certo giovato agli occhi degli americani che Joe Kaeser, il capo azienda della Siemens (che ieri ha ufficializzato l’intenzione di presentare un’offerta per Alstom non appena avrà potuto spulciare i bilanci per almeno quattro settimane), sia stato ricevuto al Cremlino in pompa magna un mese fa, proprio quando scattavano le prime sanzioni occidentali. Era il 26 marzo. E Barack Obama da Bruxelles lanciava l’anatema contro l’annessione della Crimea. Una gaffe diplomatica clamorosa.
Probabilmente Kaeser non l’ha fatto apposta, piuttosto ha perseguito ottusamente un’agenda “di lungo periodo”, come ha ribadito celebrando una relazione che risale ai tempi del kaiser e dello zar, degli Hohenzollern e dei Romanov. Gli impegni solenni presi dal manager tedesco hanno creato imbarazzo politico in Germania tanto che sia la cancelliera Angela Merkel sia Sigmar Gabriel, vicecancelliere socialdemocratico (nonché ministro dell’Economia e dell’Energia), hanno apertamente criticato un viaggio decisamente sopra le righe. Ma il fatto è che la Siemens rappresenta lo snodo centrale nella fitta ragnatela di affari che collega la Germania e la Russia. E’ un rapporto non solo antico bensì fruttuoso (un giro d’affari di oltre due miliardi di euro più altri due nei prossimi anni vendendo turbine, treni, automazione industriale), che s’irradia all’intero complesso bancario-industriale tedesco (nel consiglio di sorveglianza di Siemens, per esempio, sono rappresentate Allianz, Bayer, Sap, tutte con forti interessi in Russia). E nel viaggio a Mosca di Kaeser non poteva mancare un incontro con Alexey Miller, il gran capo di Gazprom che ha come consulente Gerhard Schröder, l’ex cancelliere socialdemocratico.
La portata geopolitica dello scontro, dunque, è chiarissima. Impossibile che sfugga a Montebourg e a Hollande. L’hanno capita benissimo gli azionisti che preferiscono General Electric, a cominciare da Bouygues, il grande costruttore che controlla il gruppo con il 30 per cento e possiede anche Tf1, il primo canale televisivo, e il secondo operatore di telefonini; una dinastia industriale da sempre collaterale al potere gaullista. La nuova guerra fredda in campo energetico è in pieno svolgimento e non riguarda solo i tubi, cioè le pipeline attraverso le quali il gas russo arriva nell’Europa continentale e la tiene in scacco, ma anche le tecnologie per trasformare le risorse naturali, a cominciare da quelle rinnovabili come acqua, vento, sole, che acquistano un valore sempre più elevato se bisogna ridurre la dipendenza dagli idrocarburi che vengono dall’est. Senza dimenticare che una importanza maggiore, bon gré mal gré, è destinato ad avere anche il nucleare (e Alstom lavora per il settore atomico transalpino).
Oggi al mondo i grandi impianti, le turbine, le caldaie, sono nelle mani di pochi giganteschi produttori: Mitsubishi, conglomerata giapponese (350 mila impiegati e 250 miliardi di giro d’affari), General Electric, americana (287 mila dipendenti con un fatturato di 150 miliardi di dollari), Siemens (362 mila dipendenti e fatturato di 76 miliardi di euro), ABB (150 mila addetti e 42 miliardi di dollari) e Alstom (93 mila dipendenti per 20 miliardi di euro). Un piccolo spazio resta anche per l’italiana Ansaldo energia (un miliardo e 320 milioni di fatturato) girata da Finmeccanica al Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti. Mentre Ansaldo Breda che produce gli Etr e Ansaldo Sts (segnalamento ferroviario) sono rimaste nel gruppo a partecipazione statale. E’ chiaro che in questo consolidamento mondiale, né Ansaldo né Breda potranno sopravvivere da sole. La scelta del partner acquista, proprio come nel caso Alstom, un connotato strategico molto chiaro.
Puntare su Siemens non significa rilanciare l’asse franco-tedesco, ma rafforzare il triangolo con Mosca, proprio ora che bisogna spezzarlo. La svolta americana è netta e mette i russofili europei di fronte a un aut aut. Non è un caso che General Electric abbia lanciato proprio ora la sua offerta per Alstom, una proposta allettante anche economicamente visto che sul piatto è pronta a mettere dieci miliardi di dollari. Il gruppo fancese sta attraversando difficoltà molto serie. La crisi internazionale ha rallentato la domanda in tutti i suoi due punti forti: i treni ad alta velocità (in Italia produce Italo) e l’energia. Anche nel comparto ferroviario dove finora ha primeggiato con i Tgv, adesso deve subire la concorrenza della Cina. L’idea di cedere l’energia dove comunque non può rivaleggiare con gli altri tre grandi, per rafforzarsi nei treni, acquisendo le attività del gruppo tedesco, ha senso sul piano industriale. Ma non perché sia possibile creare un altro Airbus. Quella energetica, infatti, è una industria strettamente integrata, non si tratta di costruire un prodotto da vendere a un consumatore privato. Una centrale elettrica anche quando viene piazzata “chiavi in mano” è un insieme complesso che fa capo a una filiera. L’acquirente, poi, è per lo più pubblico o a partecipazione statale e ciò introduce nella logica di mercato un fattore politico.
Alstom è un piccolo operatore nelle turbine a gas (dove invece più forte è la domanda mondiale) dominate da General Electric, Siemens e Mitsubishi, mentre ha una taglia consistente nell’idroelettrico e nella nicchia della generazione di energia dal vapore. Siemens è leader nelle pale a vento offshore. Dunque, ci sono alcune sovrapposizioni tra il produttore tedesco e quello francese, ma nell’insieme potrebbero integrarsi. Con General Electric, invece, non si corre il rischio che alcuni impianti vengano chiusi perché i comparti produttivi sono distinti e non ci sarebbero problemi con l’Antitrust europeo. In Francia, il gruppo americano opera da oltre quarant’anni, impiega diecimila lavoratori e fornisce anche motori aerei alla Safran della quale lo stato possiede il 30 per cento. Furioso, il governo ha convocato Patrick Kron, pdg di Alstom, il quale aveva osato aprire trattative senza informare il potere esecutivo che pretende potere di veto anche sulle imprese private, soprattutto se operano in settori strategici. Questa volta, però, il tardo colbertismo potrebbe giocare un brutto scherzo, proprio perché non è in discussione la grandeur o soltanto un buon affare industriale, bensì la sicurezza dell’intero continente europeo e i rapporti con gli Stati Uniti.
FQ. di Stefano Cingolani, 30 aprile 2014 - ore 06:59