Sciopero dallo sciopero. La riforma (mutilata)
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del lavoro avanza, Cgil boriosa ma in ritirata
Primo sì al dl Poletti. La Camusso si aggrappa ancora Pd anti renziano, nel suo sindacato crescono le fronde
La Cgil si fa forte della convergenza di idee e di intenti con l’ala minoritaria del Pd, conservatrice rispetto alla rupture sul lavoro e sulla concertazione inaugurata dal premier Matteo Renzi. Così il decreto del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, primo tassello del Jobs Act che poi prenderà definitvamente corpo nel disegno di legge delega (ieri bersagliato dalla Cgil in audizione alla Camera), è stato annacquato. Il tutto grazie a una forte “presenza filo-sindacalista” nel gruppo del Pd (16 deputati su 21) in commissione Lavoro della Camera, presieduta dall’ex cigiellino e già ministro del Lavoro prodiano Cesare Damiano. Il “compromesso” tra sinistra riformatrice e conservatrice ha indotto Ncd e Scelta civica, alleati di Renzi, a lamentare uno stravolgimento del provvedimento che ieri è comunque passato alla Camera con la fiducia all’esecutivo. La battaglia è dunque rimandata al Senato.
Il sindacato guidato da Camusso si bea per avere aperto una “discussione”, ma fuori dal Parlamento è in crisi di identità. “Prima era ascoltata dalla maggioranza del Pd, ora non più. Non può sganciarsi da Renzi a priori, deve verificare la solidità della premiership alle europee, altrimenti rischia di consegnarsi ingloriosamente agli estremismi di Sel e Grillo”, dice Giuliano Cazzola, ex dirigente Cgil, oggi in Ncd.
Camusso marca Renzi decreto per decreto (benedice gli sgravi per i lavoratori dipedenti, censura la riforma del lavoro) ma esita a usare l’arma classica ed estrema della “mobilitazione”, solo minacciata nel marzo scorso. E a febbraio inutilmente vagheggiata sul Manifesto da Landini, segretario dei metalmeccanici Fiom in rotta con Camusso e più accondiscendente verso le posizioni renziane. Uno sciopero generale? La presa di una piazza da contendere ai movimenti? Non s’è visto nulla. D’altronde il successo sarebbe incerto. Non solo perché – secondo uno schema cigiellino condiviso ai vertici – i lavoratori sono più disponibili a scioperare quando l’economia cresce e possono ambire ad aumenti salariali, ma anche perché ci sono indizi di erosione sia di consenso sia di riferimenti storici del sindacato. All’ultimo congresso di dicembre ha partecipato il 17 per cento dei 5,7 milioni di iscritti. “Non siamo riusciti a coinvolgerli”, disse Landini.
E’ però dalle regioni “rosse” che arrivano segnali di malcontento: a Pisa si è costituito un movimento di opposizione interno alla Cgil, considerata troppo morbida (riedizione di quanto già accaduto alla Camera del lavoro di Bologna, la più grande d’Italia). Non solo. Su un altro dossier come quello delle aperture delle attività commerciali nei giorni di festa, su cui la Cgil annuncia battaglia in vista del 1° maggio, si incrina perfino il rapporto con le cooperative. In Liguria ha fatto scalpore il caso della Ipercoop di La Spezia che è rimasta aperta il lunedì di Pasquetta contrariamente agli accordi contrattuali e al volere della Filcam-Cgil. “E’ uno spartiacque storico per due organizzazioni della stessa matrice politico-ideologica. Storicamente la Coop garantisce iscrizioni certe alla Cgil, mentre il sindacato è un alleato quando si tratta di premere sugli enti locali per ampliare la rete vendite o tenere lontana la concorrenza”, dice Mario Frau, ex manager Coop. La dirigenza delle cooperative liguri tira dritto e fa sapere alla Cgil che nel 2013 ha retribuito 200 ore di lavoro in più grazie ai giorni festivi lavorati: lavoro aggiuntivo per oltre 100 persone a tempo pieno. Numeri con cui la Cgil dovrà fare i conti, considerato che il tasso di disoccupazione in Italia ha superato il 12 per cento. Se si accorpassero le festività annuali – sostenne il governo Monti prima di aprire alla liberalizzazione degli orari commerciali – il pil italiano crescerebbe dell’1 per cento. Si possono produrre beni per 4 miliardi in più, disse la Confindustria nel 2011. L’ultimo studio in materia, compiuto da Cermes e Università Bocconi, stimava addirittura che le sole aperture domenicali consentirebbero un aumento dello 0,25 per cento del pil italiano. I sindacati confederali resistono. Alcune sezioni territoriali celebreranno il riposo del 1° maggio contro la “società dei consumi” e in “difesa del lavoro”. Controsenso sempre più impopolare.
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di Alberto Brambilla – @Al_Brambilla, 24 aprile 2014 - ore 06:59