Finocchiaro, come boicotterà Renzi sull'Italicum
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C’è una sorta di nemesi shakespeariana nell’attesa
con cui la senatrice Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali, si prepara ad affondare le unghie sulla legge elettorale concordata tra il premier e il Cavaliere, e quindi nella gola di Matteo Renzi. La questione antropologica pesa, certo: lei, entrata nel Pci nel 1987, rappresenta l’ortodossia, la vecchia gestione della ditta. Lui è il giovane eretico, il finanziere rampante che si è preso l’impero con una scalata ostile e ora promette più dividendi per tutti. Ma la politica c’entra sino a un certo punto: la questione è di feeling, nel senso che i due si odiano.
L’elenco dei soprusi che questo ex magistrato siciliano presente in Parlamento da otto legislature (alla faccia di tutti i rottamatori) imputa al segretario del Pd è lungo così. La prima grande partita giocata da Renzi fu quella dell’elezione del presidente della Repubblica. Il sindaco di Firenze, che aveva tra gli elettori una cinquantina dei suoi, mise il veto sulle candidature di Franco Marini e della Finocchiaro, che non la prese bene: «L’attacco di Renzi è davvero miserabile». Quando Renzi si candidò alla guida del partito, lei spese per lui altre belle parole: «Non penso che possa essere un buon segretario del mio partito. Ci vogliono attitudini e carismi diversi». L’ultima tenerezza l’altro giorno, dopo la strage degli innocenti nella scuola di Siracusa: «Quando ho sentito la canzoncina dei bambini per Renzi mi è sembrato di tornare agli inizi del secolo».
Nel frattempo lui, diventato segretario, aveva provveduto a sfilare la riforma elettorale dal Senato, cioè dalla scrivania della Finocchiaro, per dirottarla alla Camera, dove il Pd e i numeri gli sono più favorevoli. Ma prima o poi Renzi e la sua legge debbono passare a palazzo Madama. E ormai manca poco. La vendicativa ragusana ha già fatto l’elenco. C’è scritto che la soglia per i partiti che corrono da soli, fissata all’8%, va abbassata. Mentre la soglia per ottenere il premio di maggioranza, che nel testo attuale è pari al 37%, va portata al 40%. La norma sull’alternanza uomo-donna, inoltre, deve essere cambiata nel senso indicato dalle parlamentari. Probabile, poi, che al momento decisivo la Finocchiaro condivida la richiesta del Ncd e di altri per abbassare la soglia di entrata per i partiti coalizzati, che al momento è al 4,5%, (a domanda diretta Gaetano Quagliariello, coordinatore del Ncd, riconosce che in effetti i rapporti tra gli alfaniani e la senatrice del Pd nemica di Renzi sono «buoni, molto buoni»).
Oltre ai centristi, la Finocchiaro ha oltre metà del gruppo del Pd al Senato. Bersaniani, lettiani, dalemiani e altri malpancisti: l’elenco di chi ha buoni motivi per strozzare Renzi nella culla è lungo. Il premier lo sa. E per far raffreddare la situazione e spezzare il fronte che promette di inguaiarlo sta ragionando su una sorta di “fermo biologico” per la legge elettorale: uscita dalla Camera, questa non passerebbe subito all’esame di palazzo Madama, ma aspetterebbe che in quella stessa aula fosse approvata l’abolizione del Senato. Il varo dell’Italicum, insomma, sarebbe rimandato alle calende greche, e con esso la resa dei conti con la Finocchiaro e gli altri.
Un blocco che congelerebbe la legislatura, con grande piacere del Nuovo centrodestra ed enorme scorno di Berlusconi. Ma proprio la rottura dell’asse col Cavaliere renderebbe il segretario del Pd meno vulnerabile agli attacchi interni e calmerebbe, almeno in parte, la situazione nel partito.
09 marzo 2014 Fausto Carioti, Libero