Siberia, virus gigante si «risveglia»dai ghiacciai dopo
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trentamila anni. È il più grande mai scoperto e sta tornando in vita
a causa del riscaldamento globale: è una potenziale minaccia
Scioglimento dei ghiacci, virus giganti, vasi di Pandora. Sembrano appunti per un libro di fantascienza, da mettere sulla libreria di fianco a titoli come «Jurassic Park» e «Andromeda» di Michael Crichton. Invece sono le parole chiave contenute in uno studio che esce oggi sulla rivista Pnas. Lo firma un gruppo francese, guidato da Chantal Abergel e Jean-Michel Claverie, che sta passando al setaccio gli angoli più remoti del mondo per portare alla luce creature straordinarie di cui nessuno sospettava l’esistenza.
L’ultimo arrivato è il microrganismo gigante appena scoperto in Siberia, dove è rimasto in letargo per trentamila anni protetto dal permafrost. L’hanno chiamato Pithovirus, dal greco pithos, l’anfora donata dagli dei alla leggendaria Pandora. Secondo il mito conteneva tutti i mali del mondo e la bella fanciulla, scoperchiandola, riversò sull’umanità sciagure di ogni genere. Fu la punizione voluta dagli dei per la disobbedienza di Prometeo, che aveva osato rubare il fuoco. Solo l’anno scorso gli stessi ricercatori avevano stupito la comunità scientifica con un altro virus gigante, anche quello a forma di anfora e ribattezzato, guarda caso, Pandoravirus. Nomen omen, si dice per indicare che il nome delle persone a volte vale come un presagio. Di sicuro questi vasi viventi di Pandora traboccano di sorprese, e forse anche di qualche avvertimento.
Il Pithovirus infetta le amebe, non l’uomo, ma la sua presenza nel ghiaccio spinge i ricercatori francesi a scrivere che il permafrost potrebbe nascondere altri microrganismi, magari patogeni, che potrebbero essere liberati a causa del riscaldamento globale. In uno scenario catastrofico di questo genere il mito di Pandora rivivrebbe riveduto e corretto, con gli uomini puniti per aver inquinato il pianeta e cercato tra i ghiacci nuovi giacimenti di petrolio. Ma queste sono fantasie che dicono poco sui rischi concreti e molto sul funzionamento della mente umana. L’idea della tracotanza e del castigo, evidentemente, esercita un fascino antico e intramontabile. Chi studia le malattie emergenti sa che l’esplorazione di nuovi ambienti espone gli uomini al contatto con microrganismi sconosciuti su cui occorre vigilare. A questo servono le reti internazionali di sorveglianza, che abbiamo visto attivarsi per malattie come la Sars e l’influenza aviaria. Allo stato attuale delle conoscenze, comunque, i virus giganti devono suscitare un sentimento di meraviglia più che di paura. È come se avessimo trovato l’uomo delle nevi in Tibet o Bigfoot nel nord America.
A scuola abbiamo studiato che i virus sono esseri piccolissimi e semplicissimi, al confine tra la vita e la materia inanimata, fatti solo di un involucro che custodisce pochi geni. Oggi questa nozione appare datata: i virus giganti possono superare il millesimo di millimetro e il loro genoma può codificare oltre duemila proteine. Secondo qualcuno potrebbero rappresentare addirittura un ramo indipendente dell’albero della vita. La prima famiglia è stata scoperta dieci anni fa (Megavirus), nel 2013 è arrivata la seconda (Pandoravirus). Ora la terza, che per alcuni aspetti ha caratteristiche intermedie, ma conquista il record della stazza (1,5 micrometri). Il ritmo delle scoperte e la loro distribuzione geografica tra Australia, Cile e Siberia lascia immaginare che il gruppo francese sia estremamente fortunato o che questi virus ciclopici dopotutto non siano così rari. Se è giusta la seconda ipotesi aspettiamoci di fare presto la conoscenza con nuove bizzarre creature ancestrali.
04 marzo 2014, Anna Meldolesi, Il Corriere della Sera. STUDIO PUBBLICATO SU «PNAS»