Tra Fiom e Confindustria. Renzi, il Lavoro
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e la storia dell’altra Große Koalition. Chi cambierà
La partita sulle riforme, le due strade del premier, il modello Marchionne e le mosse parallele nei due sindacati
Lei e lui: e se il senso del governo Leopolda passasse proprio da qui? Ieri pomeriggio, al termine della convincente replica con cui Renzi ha riscattato alla Camera la deludente performance del Senato, il presidente del Consiglio, di fronte a un sorridentissimo Pier Luigi Bersani e a un accigliatissimo Enrico Letta, poco prima di vedere la sua grande coalizione incassare la fiducia anche di Montecitorio, ha tracciato nuovamente le tappe verso le quali si muoverà il governo e ha ricordato che al centro di tutto ci sarà una questione che Renzi generalmente sintetizza con una parola semplice: lavoro. Entro marzo, ha confermato il segretario, sarà incardinata alla Camera la discussione sul Jobs Act ma prima di arrivare all’appuntamento con le commissioni il presidente del Consiglio avrà il compito di far coesistere fuori da Montecitorio un’altra grande e stranissima coalizione composta da due forze sociali con cui negli ultimi tempi Renzi ha mostrato confidenza e complicità: da un lato la Fiom e dall’altro una fetta di Confindustria.
Lo schema di Renzi finora è stato chiaro ed è uno schema che prima di arrivare a Palazzo Chigi ha utilizzato con scaltrezza: tentare di cestinare le vecchie pratiche concertative della Confindustria e della Cgil offrendo un posto sul galeone della rottamazione ai possibili rottamatori di Confindustria e Cgil. Per quanto riguarda il mondo Cgil il gioco è alla luce del sole: non è un mistero che Renzi abbia una profonda sintonia con il capo della Fiom e non è un mistero che il famoso piano sul lavoro presentato un mese fa dal segretario sia stato costruito anche triangolando con il possibile rottamatore della Cgil. Per quanto riguarda il mondo Confindustria il gioco è più sottile e lo si può spiegare mettendo in fila due fatti. Il primo ci dice che tra Squinzi e Renzi non è mai scattata la scintilla (e il riflesso di questa distanza è stato ben sintetizzato domenica sul quotidiano di Confindustria da Roberto Napoletano, che ha mostrato una freddezza non scontata rispetto al governo Renzi).
Il secondo fatto ci dice invece che la scintilla scattata in questi mesi tra Renzi e Confindustria riguarda il fronte alternativo a quello guidato da Squinzi: un fronte che fino a qualche giorno fa si è manifestato lungo il filo che lega Renzi con il presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca (anti Squinzi) e un fronte che venerdì si è manifestato in modo più chiaro grazie alla scelta di puntare per il ministero dello Sviluppo sul nome di Federica Guidi, ex presidente dei giovani industriali e sostenitrice all’ultimo congresso del rivale di Squinzi, ovvero Alberto Bombassei. Se dunque appare evidente la dinamica del gioco con cui Renzi sta cercando di far cambiar verso a Cgil e a Confindustria, meno evidente appare il modo in cui Renzi, di fronte alla riforma delle riforme, potrà tenere i fili di questa coalizione parallela.
Ovvero tra lui, Landini, convinto che Marchionne sia il diavolo in persona, che la contrattazione aziendale sia il male assoluto, che l’articolo 18 sia da rafforzare, che le pensioni di anzianità siano da ristabilire, che la spesa pubblica sia da tutelare, che la Bce sia il cavallo di troia attraverso il quale gli speculatori vogliono colonizzare il nostro paese; e tra lei, Guidi, convinta che la Confindustria senza Fiat non abbia senso, che Marchionne sia un esempio da seguire, che il capo della Fiat dica quello che tutti gli imprenditori pensano, che il compito di un governo sia combattere le rigidità del mercato del lavoro, che la missione di un buon premier sia tagliare la spesa pubblica e che la famosa lettera alla Bce abbia indicato all’Italia non un burrone ma semplicemente i giusti provvedimenti che il nostro paese avrebbe dovuto adottare una decina di anni fa. Dal punto di vista formale, la scelta di Renzi di rappresentare al governo solo il sindacato degli industriali potrebbe essere una precisa indicazione di marcia. Guidi però sulle partite del Lavoro ha voce in capitolo solo su alcuni dossier limitati (soprattutto quelli legati alla gestione delle crisi aziendali) e al ministero del Welfare Renzi, si sa, ha scelto una figura intermedia come Giuliano Poletti, ex capo della Lega Coop, la Confindustria delle Cooperative.
Renzi però sa che sulla partita del Lavoro, sulla partita dei contratti, sulla partita della concertazione, sulla partita dell’eredità di Marchionne, si misurerà molto del suo grado di riformismo e si misurerà la sua capacità di rappresentare un elettorato diverso rispetto a quello tradizionale della sinistra-sindacale. E per questo nei prossimi giorni il presidente del Consiglio sarà costretto a scegliere la strada da prendere. Ovvero se far cambiare verso al sindacato imponendo una rottamazione delle vecchie pratiche concertative. O se far cambiare invece verso al renzismo rottamando il riformismo di governo. Insomma, lui o lei? E chissà che il vero senso del governo Leopolda non passi proprio da qui.
FQ. di Claudio Cerasa – @claudiocerasa, 26 febbraio 2014 - ore 06:59