Perché Renzi può e deve resistere
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al super-partito della patrimoniale
Il fascino segreto della patrimoniale continua a sorprendere. Un avversario politico, che dico?, una vera bestia nera della sinistra, dà un’intervista in cui dopo averne attaccato l’arma prediletta, l’Omt, il “bazooka” capace di sgonfiare gli spread al solo mostrarsi, senza bisogno di sparare un colpo, ammonisce i paesi indebitati a non credere di poter chiedere soldi all’Europa senza prima avere chiesto ai propri cittadini di metterci del loro. Tanto è bastato per arruolare anche lui nella pattuglia dei “patrimonialisti”, cioè dei fautori dell’imposta patrimoniale.
In realtà il presidente della Bundesbank, perché è di lui che si tratta, nell’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung di mercoledì, dichiarava: “Noi siamo contro le imposte patrimoniali: sono dannose perché diminuiscono l’interesse degli investitori e rallentano a crescita”. Ma in Europa, metteva le mani avanti, ogni stato è responsabile per se stesso, prima di chiedere l’aiuto degli altri paesi o alla Banca centrale europea, deve far fronte con le risorse proprie, senza escludere un contributo eccezionale dei contribuenti. “Se c’è rischio di default un contributo patrimoniale potrebbe essere il male minore”: minore, si intende, per i paesi che potrebbero essere chiamati a pagare il conto. Ed ecco cosa diventa la prudenza di Jens Weidmann per Andrea Tarquini su Repubblica.it : “Insomma potrebbe essere una soluzione necessaria”: per noi, si intende.
In questi giorni sono tanti a sgomitare per consigliare a Renzi nomi e programmi: che anche i patiti della patrimoniale vogliano mettersi in fila può capirsi. Renzi in generale pare allergico ai suggerimenti, che voglia raccogliere proprio questo rasenta l’impossibile: difatti non ne parla. Aldilà della situazione politica, è quella economica a rendere la proposta di una patrimoniale del tutto fantasiosa: perché non ne esistono i presupposti.
Ci sono due ragioni per proporre una patrimoniale, entrambe riguardano gli interessi sul debito: una per così dire in negativo, cioè che i creditori non si fidino più che il debitore continuerà a ripagarli; una in positivo, che il governo pensi di poter spendere meglio quei soldi. Quanto alla prima, l’assenza di presupposti è evidente a tutti: lo spread ai livelli più bassi da anni segnala che il mercato ha fiducia nella nostra capacità di far fronte ai nostri impegni. E non è affatto scontato che la fiducia cresca se lo stato italiano ricorre a imposte straordinarie sul patrimonio: con qualche ragione i creditori potrebbero pensare che il debitore è alla canna del gas, e reagire di conseguenza.
Quanto alla seconda, dipende: su un piatto della bilancia ci sono gli interessi passivi che il governo non dovrebbe più pagare, sull’altro gli interessi attivi che i contribuenti non potrebbero più percepire, perché relativi alla quota di patrimonio che l’imposta gli ha sottratto. Che vadano a investimenti o a consumi, sono più produttivi i soldi spesi dallo stato o quelli spesi dai cittadini? Quali dànno più pil, più crescita, più posti di lavoro? Prescindiamo dai casi di deflazione, di trappola della liquidità che, ove ci fossero, andrebbero trattati con strumenti ad hoc; immaginiamo anche che non esistano, e questi invece ci sarebbero eccome, problemi di liquidità, cioè che la provvista del danaro per pagare l’imposta non obblighi a vendere la casa o a liquidare investimenti produttivi; supponiamo anche, e qui veramente ci vuole un atto di fede, che la Salerno-Reggio Calabria, la Napoli-Bari, Alitalia, tante delle municipalizzate, la maggior parte delle Asl, siano fatti unici e irripetibili: ma c’è qualcuno che oggi possa credere nella superiore efficienza dello stato imprenditore?
Il debito si abbatte con la crescita, siamo tutti d’accordo. Siamo anche abbastanza d’accordo (almeno in teoria) su che cosa serva per la crescita. La riforma del lavoro, che sradichi quanto resta della cultura della job property, senza di che con la spending review non si incomincia neppure. Una scuola che valuti e si faccia valutare; ospedali e tribunali che si lascino accorpare; servizi gestiti da enti pubblici locali che si possano liberalizzare. Per vincere le resistenze che finora prevalso bisogna proprio disporre dei soldi degli interessi risparmiati? Certo, bisogna dare un taglio al cuneo fiscale sul lavoro: ma per questo assai meglio cogliere l’occasione e finanziarlo tagliando tra i sussidi alle imprese.
I bassi tassi non dureranno per sempre. Se i tassi dell’euro aumentano è perché l’Eurozona cresce: è chiaro che se noi continuiamo a crescere di meno, come è ormai da quindici anni, per noi è diventa un dramma. Invocare la patrimoniale è dichiarare che non ce la facciamo a cambiare marcia: la patrimoniale è la sconfitta della politica. Di Renzi si sa ancora poco, ma da quello che si vede, non sembra il tipo da rassegnarsi.
FQ. di Franco Debenedetti (Presidente Istituto Bruno Leoni), 24 febbraio 2014 - ore 09:53