Ridistribuire la povertà anziché creare ricchezza.

Ottime ragioni per temere la pessima notizia di un’Italia

Non è una buona, ma una pessima notizia quella – annunciata dal governo con una certa enfasi e diffusa dai media con retorico ottimismo – che le nuove tasse sulla casa serviranno da copertura finanziaria per gli aiuti alle famiglie bisognose. Un modo truffaldino di lasciare intendere che, senza tasse, non ci sarebbe il giusto aiuto per i meno abbienti; pessima, almeno per quattro, buone, ragioni.

E’ pessima, in primo luogo, perché perpetua la redistribuzione di una ricchezza che l’economia non produce in quanto la politica, la fiscalità e la burocrazia non le consentono di produrla. In secondo luogo, è pessima, perché confonde l’assistenza – che è un modo paternalistico e totalitario di bruciare risorse senza produrre giustizia sociale – con la previdenza che, in una democrazia liberale, è il correttivo dei danni collaterali eventualmente prodotti dal libero mercato. In terzo luogo, è pessima, perché è radicalmente fuori dalla logica di una “società aperta”, capitalista e di mercato; in una parola, perché estranea alla Modernità. In quarto e ultimo luogo, è pessima, perché è il tardo riflesso dell’illusione novecentesca che spetti alla politica produrre ricchezza, mentre alla politica spetta unicamente il compito di facilitare il compito ad una libera economia di produrla. Il problema per un governo degno di questo nome – la cui politica non sia la meccanica riproposizione di un principio finanziario saggiamente inserito in Costituzione dal liberale Luigi Einaudi, ma che, però, è surrettiziamente diventata l’alibi di una burocrazia spendacciona, costosa e dispotica, che assorbe ogni entrata dell’alta tassazione chiamandola “copertura finanziaria” – non sta, come si dice, nel trovare, con sempre nuove tasse, le risorse finanziarie per far fronte ad ogni spesa pubblica, bensì nel “liberare” le risorse di una società paralizzata da vincoli, divieti lacci e laccioli, di ogni genere. (Per capire che cosa è la burocrazia nelle società contemporanee, si legga “Funzionarismo”, edito da liberi libri).

Lungo questa strada, lastricata di “assistiti” dallo Stato; di cittadini trasformati in sudditi, di produttori diventati parassiti, i paesi di socialismo reale hanno proceduto stentatamente, distribuendo equamente per anni, come diceva Churchill, povertà, al posto di produrre ricchezza, fino al fallimento delle loro economie pianificate e alla dissoluzione dei loro sistemi politici. Ho avuto il privilegio di assistere –- come corrispondente del Corriere da Mosca; un giornale allora libero di smentire anche i luoghi comuni della cultura di sinistra, da noi, egemone – al progressivo disfacimento dell’Urss, un mito per il Pci e molti italiani. Non c’era nulla che funzionasse, che producesse un bene comune che non fosse (solo) quello della nomenklatura del Partito comunista e di Stato; tutto crollava a pezzi fra l’apatia e la rassegnazione di una popolazione che non credeva più a niente e si arrangiava ricorrendo all’economia del baratto (io do una cosa a te e tu dai a me una cosa che dovresti vendermi e dici di non avere). Ora, assisto, sempre dall’osservatorio del Corriere, al disfacimento, per analoghe ragioni, del mio paese, chiedendomi, con angoscia, cosa impedisca a molti di noi che fanno questo mestiere, di prendere atto delle “dure repliche della storia” sotto le quali è crollato il comunismo, e minacciano di crollare, col dirigismo e con lo statalismo nostrani, l’Italia. I miei quattro estimatori dicono che sono rimasto il solo a scriverlo. Ma non lo considero un complimento. Mi vergogno per conto di colleghi (si fa per dire) che manco ci pensano.

Se non fossimo un paese, culturalmente e politicamente, di mezze calzette, qualcuno lo direbbe. Invece, fingendo di denunciarla, molti registrano, senza citarne le cause, una politica disastrosa che, pescando sempre nello stesso pozzo della spesa pubblica, realizza quella che, in contabilità ragionieristica, si chiama una “partita di giro” fra le varie componenti sociali (le risorse che si tolgono ad una corporazione le si dà ad un’altra). Siamo immersi in una forma neppure tanto occulta di assistenzialismo che fa fare ogni giorno al Paese un passo avanti ; che si evita di analizzare in nome di un patriottismo peloso e opportunistico che fa fare ogni giorno al Paese un altro passo avanti verso la bancarotta verso la bancarotta economica e sociale e il collasso come Ordinamento giuridico.

Seguire ciò che fa il governo, quale ne sia il colore, leggere, e ascoltare, come ne riferiscono i giornali e i Tg, è inutile; è sufficiente entrare in un negozio (vuoto), parlare con la gente comune per rendersi conto che sono solo annunci, che è solo propaganda. Forse, è persino inutile chiedersi – probabilmente, non lo sanno neppure loro – perché la classe dirigente, i cosiddetti poteri forti, finanzino questo esempio di (democratica ?) disinformazione.

FQ: di Piero Ostellino, 12.01. 2014

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