Il leale passo indietro di Napolitano uomo solo obbligato

al comando Logica del tempo breve.

Il fallimento della pacificazione e la fine del consenso unanime per il Quirinale. Moral suasion ma senza aut-aut

Giorgio Napolitano era chiamato a una sfida non facile, quella di pronunciare, unico tra i presidenti italiani, l’ottavo discorso di fine anno, che alcuni, a cominciare da Beppe Grillo, avevano annunciato di voler sabotare. Quell’invito esasperato è caduto nel nulla, e va forse considerato tra le ragioni che hanno accresciuto la curiosità degli italiani per le parole del presidente, che infatti hanno ascoltato in un numero sensibilmente superiore a quello dell’anno scorso. Tuttavia il dato politico nuovo è il fatto che per la prima volta il consenso per il Quirinale tra le forze politiche è diminuito – mentre era costantemente aumentato durante il primo settennato, nonostante la prima elezione ottenuta a stretta maggioranza. Viceversa, l’approvazione per l’operato politico del presidente si è fortemente indebolita a pochi mesi dalla seconda elezione, alla quale aveva invece partecipato – come Napolitano stesso ha voluto ricordare – il 72 per cento dei grandi elettori.

Napolitano, che è un raffinato lettore dei dati reali della politica, ha tratto da questa situazione la convinzione di dovere fare, in un certo senso, un passo indietro. Ha preso atto che il patto di pacificazione e di impegno riformatore su cui era stata stabilita la sua conferma non esiste più, e per questo ha motivato le esigenze di riforme e del dialogo necessario per vararle con una sorta di “volontà popolare” testimoniata dalla sua lettura e interpretazione delle “lettere al Quirinale”, e non da una volontà presidenziale che è stata invece confinata, almeno nel discorso di fine anno, nei più stretti limiti della pura moral suasion.

Nella nuova situazione politica, probabilmente Napolitano sente con nettezza la propria condizione di “uomo solo”, rilevata in modo moderatamente polemico da Renato Brunetta, ma anche – in sostanza e seppure affettuosamente – dal suo amico Emanuele Macaluso. La coscienza di questa solitudine, attenuata solo dall’affetto di ampi settori della popolazione alla quale ha voluto richiamarsi leggendo i messaggi ricevuti, è la chiave che permette di interpretare il discorso e, più in generale, l’atteggiamento del presidente in questa fase. Napolitano è convinto che l’anno appena concluso sia stato “tra i più pesanti e inquieti” della vicenda repubblicana. Nell’esigenza di fronteggiare il peso eccezionale di quei pericoli, in presenza di “inquietudini” tendenzialmente distruttive delle forze politiche, ha fondato il carattere in certo modo eccezionale delle sue decisioni e, soprattutto, l’accettazione del reincarico. Il passo indietro, se così lo si può chiamare, consiste ora nel riconoscimento implicito che, essendo venute meno le eccezionali circostanze di consenso politico corale che furono la base della richiesta di accettare il reincarico, ed essendosi anche attenuate le asperità peggiori della crisi finanziaria, è il momento di rientrare nella più rigida limitazione dei poteri presidenziali. Ai quali si aggiunge la considerazione sul tempo “non lungo” che è destinato a durare il secondo mandato presidenziale.

Riforme da fare e bocciature significative

Questa sofferta ma leale accettazione dei dati della realtà, priva di acrimonia e di spirito di ritorsione – non si è avvertito alcun aspetto “minatorio” che condizionasse la continuità della funzione presidenziale all’accettazione di indicazioni politiche che avrebbero così assunto un carattere quasi coattivo – merita il rispetto dovuto a un atteggiamento dignitoso e basato su riflessioni approfondite, che si possono condividere o meno, ma non disprezzare.

Le emergenze sociali, politiche e istituzionali ricordate dal presidente sono reali e con esse è indispensabile fare i conti. Difficilmente questa legislatura, nata storta, potrà essere raddrizzata ancora una volta, dopo che l’irruzione dello strapotere giudiziario ne ha abbattuto il presupposto di pacificazione. Ma l’ammonimento del Quirinale, che ora distingue tra i tempi brevi della riforma elettorale e quelli lunghi della trasformazione complessiva di un sistema inceppato, pare aver compreso la dura lezione dei fatti. Se Enrico Letta ha creduto di vedere in quel discorso un sostegno incondizionato, come si può dedurre dal suo commento non solo entusiasta ma indebitamente autoreferenziale, ha le traveggole o, com’è più probabile, eccede in una furbizia ormai piuttosto lontana dall’onesta presa d’atto della necessità di un passo indietro, di un distacco dalla logica emergenziale del “governo del presidente” che viene dal Quirinale: non solo con il discorso di fine anno, ma anche con le recenti bocciature dei decreti farciti come panini e chiusi dalla solita richiesta di fiducia.

© - FOGLIO QUOTIDIANO, di Sergio Soave1 gennaio 2014 - ore 21:30, 

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