Certe idee sull’eguaglianza di fatto mi

sembrano truffaldine. I figli tutti uguali, per decreto.

Non gli effetti giuridici sui diritti civili, il che è giusto. Proprio loro, i figli. Non possono essere definiti altro che figli senza distinzioni tra naturali e legittimi. Con l’eccezione degli adottati maggiorenni, perché quelli e solo quelli (Dio sa perché) resteranno di pertinenza degli adottanti, senza relazioni con i loro parenti. Mah. Ci sarà pure un criterio, sottolineato da Enrico Letta in un giubilante “i figli finalmente tutti uguali, lo ha stabilito il Consiglio dei ministri”, ma la faccenda ha una sua risonanza sinistra, altra faccia della benevolente disposizione, e sacrosanta, per impedire che le famiglie infelici siano infelici ciascuna a modo suo (lo scriveva, com’è noto, il conte Tolstoj).

Avete gli stessi diritti ma siete diversi. Vi ha generato l’amore, e complimenti che siate riusciti a oltrepassare la barriera dell’aborto e altre barriere, ma avete un tratto di realtà, relativo alla pratica antica del matrimonio e della filiazione, che vi distingue, vi differenzia. E tu sei stato adottato, atto d’amore perfino più grande della generazione, vanne fiero. Era così difficile stabilire per legge questa realtà, questo profilo di realtà? Era così difficile evitare la surrealtà di riscrivere le cose come non sono nel codice civile, aggiungendo che la paternità è responsabilità più che potestà (l’una senza l’altra? che cazzata), che i nonni hanno il diritto di dare i vizi che vogliono ai nipoti, e altre bellurie? Il diritto? Tutti eguali, fin dai nomi?

Ma com’è questo figlio? si domandava in una commedia Achille Campanile, quel genio. Com’è? Bè, è un figlio, naturale, ma senti che discorsi, risponde una voce. Naturale che è naturale, si risponde a tormentone, ma il figlio è artificiale o naturale? Finale dopo molti squisiti passaggi comici. E’ nato il bambino. E com’è? E’ minerale.

L’esperimento linguistico eguagliatore è sempre più vivace. Quando leggo libri di accademici americani maschi che alla fine ringraziano l’insostituibile segretaria, le colleghe e i colleghi del dipartimento, un amico che ha rivisto il manoscritto, ma sopra tutto “il mio prezioso marito”, mi viene da ridere, non posso farci niente.

Sofri nel suo stupendo saggio machiavelliano (Sellerio) riporta il discorso del ciompo fiorentino in rivolta, gli esseri umani “sono ugualmente antichi, e da la natura sono stati fatti a uno modo. Spogliateci tutti ignudi, voi ci vedrete simili… solo la povertà e le ricchezze ci disuguagliano”. Alla fine, nota Sofri, Machiavelli prende le distanze da sé stesso e accenna a questo discorso da lui trascritto di fantasia come un’orazione capace di eccitare animi già predisposti al male (scriveva tra le righe, per evitare il costo della verità? chi lo sa). Ma la tentazione è di opporre un Machiavelli di sinistra, precorritore, lui “sanza fortuna”, delle dichiarazioni dei diritti dell’uomo, a quell’aristocratico conservatore, geniale e freddo, di Guicciardini, che definiva il popolo “mille volte uno pazzo”. Vabbè, si vedrà, è comunque lotta di geniacci.

Quel che si sa però, al di là del monogenismo biblico irrefutabile per definizione (siamo tutti figli di una coppia fatale di peccatori) è che l’eguaglianza sociale ha fatto di recente un paio di cattive figure: la ghigliottina e la pianificazione dell’economia comunista. Va di pari passo, la signora eguaglianza, con una forza incline alla violenza. Un po’ meglio è andata all’eguaglianza liberale delle opportunità o possibilità, alla mobilità sociale, sempre periclitante, mai assicurata, ma infine possibile. Questa eguaglianza finale dell’umanità, intesa come omologazione del genitore (a) e del genitore (b), del maschio e della femmina, del matrimonio e dell’unione unisessuale, dei figli indistinguibili eccetera mi sa di truffa, umanitaria ma truffa.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 15 dicembre 2013 - ore 12:30

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