Contro-controspionaggio. Nel caso dello

americano scomparso in Iran spunta la mano della Cia

Un’inchiesta dell’Associated Press conferma che Levinson era una spia (ma all’insaputa dei vertici di Langley)

New York. Tre anni fa i cronisti dell’Associated Press (Ap) hanno avuto la conferma che Robert Levinson, ex agente dell’Fbi scomparso nel 2007 in Iran, non era sparito durante un “viaggio d’affari” nell’isola di Kish, come da versione ufficiale della Casa Bianca, ma lavorava per la Cia. Per tre volte, nel corso degli anni, il governo americano ha chiesto all’agenzia di stampa di non pubblicare l’inchiesta, dicendo che avrebbe fatto saltare le trattative per il rimpatrio. Per tre volte l’Ap ha acconsentito. Ieri l’embargo della Casa Bianca è scaduto, non un buon indizio sulla sorte del prigioniero: i funzionari dell’Amministrazione sono certi che i sequestratori sanno dell’affiliazione con la Cia e da anni ormai non ci sono nuove notizie. Molti fra Langley e la Casa Bianca pensano che sia stato ucciso, ma anche di questa eventualità non ci sono conferme. Il presidente dell’Iran, Hassan Rohani, che sussurra all’occidente parole dolci per guadagnare credibilità, dice di non avere informazioni. Per la verità nessuno sembra saperne nulla. Le ultime comunicazioni, due email, una delle quali conteneva un video indirizzato alla moglie, risalgono al 2010. La prima è stata inviata da un bar in Pakistan, la seconda dall’Afghanistan. Non soltanto gli anni della detenzione sono opachi e offrono indizi non verificabili – un medico e un’infermiera dicono di averlo visto in un ospedale di Teheran, un detenuto dice di aver visto il suo nome sul muro di una cella iraniana – ma anche i dettagli sul suo reclutamento sono oscuri. Dopo il pensionamento dall’Fbi, nel 1998, Levinson ha lavorato come investigatore per diverse compagnie. Era specializzato nel tracciare le connessioni della mafia russa. Per questo era diventato amico dell’analista della Cia Anne Jablonski, autorità in materia di organizzazioni criminali dell’ex Unione sovietica.

L’affinità professionale con Jablonski ha fruttato a Levinson un contratto con la Cia come analista. Non era stato assoldato per fare la spia – cioè per raccogliere informazioni sul campo, reclutare informatori, incontrare fonti – ma si è ritrovato su aerei pagati dall’agenzia verso mete sensibili dove faceva esattamente quello che fanno le spie, pur senza esserlo.

Chi lo aveva mandato lavorava a sua volta nell’ambito delle analisi, non delle operazioni, e aveva in qualche modo tagliato fuori dallo scenario i suoi responsabili diretti. Levinson comunicava con Jablonski attraverso l’email personale; madava a casa sua, e non al quartier generale, il materiale che scovava nei suoi viaggi, ed è stato soltanto per la caparbietà di un procuratore della Florida amico di Levinson, David McGee, che si sono scoperti i veri rapporti fra l’ex agente e la Cia. I responsabili dell’agenzia si sono così trovati a mentire – probabilmente in buona fede – a una commissione del Congresso: non era un operativo della Cia, hanno confermato, sfruttando, fra l’altro, una particolare coincidenza. Quando Levinson è scomparso, il suo

contratto con la Cia era da poco scaduto. I suoireferenti a Washington gli avevano assicurato che sarebbe stato rinnovato entro due mesi.

L’operazione in Iran poteva procedere, ma non c’è stato più tempo. Quando un’indagine interna ha iniziato a scavare nel caso, i tre analisti di Langley che hanno reclutato in modo obliquo Levinson sono stati allontanati dalla Cia. L’agenzia ha dato alla famiglia dell’ex agente 2,5 milioni di dollari perché rinunciasse a un’azione legale sconveniente per tutti, e sono state riscritte regole più severe per il reclutamento dei contractor come Levinson, scomparso oltre sei anni fa.

FQ. di Mattia Ferraresi   –   @mattiaferraresi, 14 dicembre 2013 - ore 06:59

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