L’ex ministro Guarino scrive a Rehn. Niente
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lezioni da chi è complice della violazione dei Trattati
Gentile Commissario, ho letto nei trascorsi giorni su Repubblica e sulla Stampa, quotidiani le cui informazioni sono da ritenersi attendibili, frasi a Lei attribuite. Ieri Lei si è incontrato con il presidente del Consiglio italiano. Sull’esito delle conversazioni non si leggono notizie precise. Lo si deve all’accumularsi di nuovi problemi e alla scarsa chiarezza formale che da qualche tempo caratterizza i rapporti tra l’Ue e gli stati membri. Mi pongo una domanda. Le è stato attribuito un preannuncio di quanto l’Unione potrebbe fare. E’ legittimo? E’ corretto? E’ utile? Ritengo di no.
L’anticipazione di provvedimenti non ancora formalizzati genera turbamenti nei rapporti tra il governo dello stato membro e i cittadini, mina la fiducia nei confronti dello stato, influisce sulle decisioni dei mercati. E’ un costume che si è diffuso nei rapporti tra Ue e stati membri. Genera confusione. Nella situazione grave in cui versano parecchi degli stati senza deroga, l’Eurozona e la stessa Unione, attenersi al Trattato in vigore, e solo al Trattato, è indispensabile. E’ dovere della Commissione europea rispettare il Trattato e farlo rispettare. E’ diritto dello stato membro esigerne la scrupolosa attuazione.
Se non erro, Lei ha assunto funzioni di Commissario europeo il 22 novembre 2004. E’ probabile, e lo darei addirittura per certo, che nell’assumere l’Ufficio, Lei non sia stato informato che negli anni dal 1996 al 1.1.1999, gli organi competenti dell’Unione, con una operazione illecita, nella sostanza truffaldina, a partire dalla data prescritta per il lancio dell’euro (1.1.1999), avevano sostituito la disciplina giuridica posta dal Trattato sull’Unione (Maastricht) a base della nuova moneta, l’euro, con una diversa, anzi opposta, quella del reg. 1466/97. Sintetizzo, in un modo che spero risulti sufficientemente chiaro, la differenza tra le due discipline. Il Tue, con una clausola giuridicamente qualificabile come “essenziale”, vincolava il sistema a un obiettivo preciso, quello di realizzare uno sviluppo “sostenibile, armonioso, non inflazionistico e che rispetti l’ambiente”, che garantisse anche “un elevato livello di occupazione e di protezione sociale” (art. 2 Tue). La crescita era la controprestazione dell’Unione a fronte della rinuncia all’esercizio della propria sovranità cui gli stati si assoggettavano con l’adesione all’euro. Il compito di realizzare l’obiettivo è stato affidato dal Tue (Maastricht) agli stati membri. Vi avrebbero provveduto, nell’interesse proprio e insieme dell’Unione, avvalendosi di due specifici poteri.
Avrebbero perseguito ciascuno una propria “politica economica”, il cui oggetto si sarebbe esteso a tutti gli aspetti della convivenza, anche quelli economici, non dipendenti dalla disciplina della moneta. L’Unione si sarebbe limitata a coordinare gli stati con direttive di massima. Distintamente veniva garantito agli stati, nel settore specifico della moneta, un secondo potere, quello di indebitarsi entro limiti indicati che avrebbero evitato che la crescita assumesse carattere inflazionistico. Al regolamento 1466/97, hanno fatto seguito due regolamenti, il n. 1055/2005 e il n. 1175/2011. Entrambi si sono collocati nel solco del primo, aggravandone la disciplina. Le date mi fanno ipotizzare che Lei abbia concorso alla deliberazione sia della proposta, che della adozione del secondo come del terzo regolamento, assumendone la corresponsabilità. Negli stessi anni in cui i regolamenti del 2005 e del 2011 si aggiungevano al primo, al Tue (Maastricht) subentravano i Trattati di Amsterdam e di Lisbona, quest’ultimo in vigore dal 1° dicembre 2009. Il secondo e il terzo Trattato riproducono testualmente, per la parte che interessa, le disposizioni del Tue.
Non le sembra assurdo che, nonostante l’entrata in vigore dei nuovi Trattati, la Commissione, di cui Lei fa parte ormai da dieci anni con responsabilità crescenti, abbia persistito nell’applicare i regolamenti orientati in una direzione del tutto opposta? Poiché al 1.1.1999 la condizione di un bilancio in pareggio era presente solo in qualcuno dei paesi membri, forse soltanto in uno, doveva essere chiaro che per tutti gli altri il risultato del pareggio avrebbe potuto essere realizzato solo se fosse stato ammesso l’impiego degli strumenti indispensabili. In concreto i poteri attribuiti dal Tue agli stati.
L’obbligo generalizzato del pareggio del bilancio li aveva invece soppressi. Era prevedibile che dai tre regolamenti sarebbe derivata non crescita, ma depressione. I dati statistici, univoci e impietosi, lo confermano. Nelle classifiche delle economie che sono cresciute meno fino al decennio dal 1990 al 2000 non era presente nessuno degli stati Ue. Nel decennio posteriore al vincolo della parità del bilancio, dal 2000 al 2010, nella graduatoria dei 35 peggiori, figurano l’Italia al terzo posto, la Germania al decimo, la Francia al quattordicesimo, più altri 10 paesi euro. Si deduce che il fattore depressivo che attanaglia l’Eurozona e più in generale l’Unione deve essersi prodotto tra il 1999 e il 2000. Se ne trova uno solo, il vincolo del pareggio del bilancio, imposto con regola generale agli stati dell’euro. E’ questo il fattore comune della quindicennale depressione dei paesi europei. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Una depressione generalizzata e progressiva, disoccupazione, imprese costrette a cessare l’attività, caduta della domanda, deperimento del territorio e dei beni culturali e ambientali, senso di impotenza, inefficienza delle istituzioni, spazi crescenti di corruzione e di illiceità. E tanto altro.
Sono persuaso che i titolari degli organi che hanno realizzato l’operazione surrettizia di sostituzione della disciplina del regolamento a quella dettata per l’euro dal Tue (Maastricht) non fossero consapevoli delle conseguenze che si sarebbero prodotte. Di queste una è tra tutte la più grave e nello stesso tempo la più ignorata. Con l’eliminazione di ogni potere degli stati in materia monetaria ed economica i regolamenti hanno eliminato le condizioni della “democrazia” la cui base è costituita dal potere periodico di voto con il quale i cittadini influiscono sugli indirizzi che il governo adotterà, ai cui effetti gli stessi cittadini saranno assoggettati. Non si può influire sui governi se i governi sono stati privati della titolarità di qualsiasi potere. I governanti dei paesi membri che accedessero alla applicazione del regime instaurato con i regolamenti, in sostituzione di quelli contemplati dai Trattati debitamente ratificati, potrebbero, loro malgrado, trovarsi coinvolti in processi nazionali per attentato alla Costituzione. La responsabilità si estenderebbe ai Commissari europei.
Il rigorismo che perpetua il golpe dell’euro
Anche nelle condizioni di progressiva e generalizzata depressione, nella conformazione determinata dalla surrettizia applicazione dei regolamenti, i titolari di responsabilità nell’Unione e negli stati membri restano assoggettati alle condotte imposte, senza potersene discostare. Col tempo si formano usi applicativi. Ma il dato formale è decisivo. Se vige una fonte di rango superiore è a questa che bisogna attenersi. E’ un dovere assoluto, specie nel caso in cui l’applicazione corretta dei Trattati sia l’unico mezzo per uscire dalla gabbia in cui si è rinchiusi, per tornare al regime di libertà umana, di progresso e di democrazia in funzione del quale i Trattati sono stati stipulati. L’autore delle singole condotte, in caso di violazione dei Trattati, ne assume interamente la responsabilità. Secondo le notizie pubblicate, Lei avrebbe fatto riferimento a un tetto del 3 per cento nell’indebitamento, alla necessità di rispettare annualmente l’equilibrio del bilancio, all’obbligo di introdurre misure “strutturali”. Nessuno di questi adempimenti è previsto dal Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009. L’art. 126 Tfue, nel n. 2, lett. a), secondo alinea, dispone che si può andare oltre il 3 per cento nell’indebitamento se il superamento “sia solo eccezionale o temporaneo”. L’“eccezionalità” e la connessa temporaneità sussistono quando il superamento sia dovuto a “eventi al di fuori del controllo dello stato membro”.
Nel nostro caso l’evento è identificabile nell’obbligo del pareggio del bilancio imposto a tutti gli stati membri, al quale è stato aggiunto l’obbligo di attenersi al programma approvato dalla Commissione distintamente per ciascuno stato. Nell’art. 126 Tfue non si rinviene una qualsiasi clausola che, in modo diretto o indiretto, possa addursi a sostegno della pretesa di impartire istruzioni specifiche agli stati. E quanto alle strutture, nell’art. 126 Tfue non ve ne è alcun cenno, né diretto né indiretto. E’ disposto Lei ad assumersi la responsabilità di comportamenti illeciti cui si connettono gravi responsabilità? Una esposizione completa del quadro istituzionale europeo è contenuta nel “Saggio di verità sull’Europa e sull’euro”, inserito nel mio sito e riprodotto per intero, per sua autonoma iniziativa, sul Foglio, quotidiano che ospita oggi questa mia. La mia lunga esperienza accademica, professionale, politica, mi induce a suggerirle di assoggettare le considerazioni che le ho esposto e le conclusioni del saggio a un critica severa. Sono a disposizione, sua e dei suoi uffici, per qualsiasi delucidazione. La mia responsabilità è diversa, ma forse non inferiore alla sua. Se venisse dimostrato che le riflessioni e le conclusioni che ne traggo sono erronee per incompletezza o per inesattezza dei dati statistici o documentali o per illogicità nell’argomentazione, ne darei pubblicamente atto, in modo immediato. E’ la sanzione massima che può imporsi a un antico e, se posso permettermi di aggiungere, rispettato accademico. Mi auguro di avere occasione di conoscerla di persona. Con cordialità e auguri di buon lavoro!
di Giuseppe Guarino, 6 dicembre 2013 - ore 06:59