Oggi la Spagna, domani Marchionne. L’ad di Fiat
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Chrysler elogia Madrid sulle riforme che l’Italia non sa fare
Sergio Marchionne, nel corso di una conferenza tenuta a Washington, ha paragonato la situazione italiana a quella spagnola, dando atto al governo di Madrid di aver saputo affrontare riforme efficaci per contrastare una crisi che aveva e ha caratteri anche più preoccupanti di quelli presenti nella situazione italiana. “Dobbiamo fare come la Spagna che è andata avanti sulle norme per il lavoro, la lotta alla burocrazia e la riforma della pubblica amministrazione”, ha dichiarato, indicando problemi che restano invece tutti aperti nel nostro paese. Va detto che la crisi spagnola ha avuto caratteri in parte diversi da quelli italiani: il debito pubblico era la metà del nostro, ma l’esplosione di una colossale bolla immobiliare ha prodotto la fermata di un settore che pesava sull’economia spagnola per quasi un quinto. Oggi il debito spagnolo, in relazione al prodotto, è aumentato più di quello italiano, la disoccupazione, che pure per la prima volta segna una modestissima regressione, è il doppio della nostra. Ma le riforme economiche – soprattutto quelle del lavoro e il risanamento coatto (e finanziato dall’Europa) delle casse di risparmio – hanno invertito il flusso degli investimenti, che invece di fuggire ora affluiscono copiosamente in Spagna. Chi, come Marchionne, guida una multinazionale è in grado di valutare queste situazioni. E se il capo azienda di Fiat e Chrysler sostiene che l’obiettivo decisivo è quello di “attivare davvero gli investimenti esteri senza i quali non possiamo farcela”, vuol dire che qui sta uno degli elementi critici principali della situazione e della crisi nazionale. I governi spagnoli hanno reagito in ritardo, ma non si sono spaventati per la dozzina di scioperi generali indetti dai sindacati contro le norme sul lavoro che sono state via via perfezionate, non hanno ceduto alle colossali proteste dei funzionari pubblici cui sono stati ridotti gli stipendi, hanno retto alle spinte secessioniste che si sono rafforzate per effetto della crisi e questo ha pagato in termini di credibilità del sistema agli occhi degli investitori esteri. Se sul piano quantitativo in Italia si sono fatti persino più progressi nel controllo del deficit, se i fondamentali sono ancora più solidi di quelli spagnoli, se l’occupazione è meno precaria, l’immagine che si dà è però quella di un paese che vivacchia e che non è in grado di cambiare. Qui sta il vero problema indicato da Marchionne.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 5 dicembre 2013 - ore 06:59