Il Cav. e la sua arte del non decidere. Vuole il voto
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oppure no?
Così Berlusconi sta giocando la sua folle e furba partita di capo dell’opposizione con delegazione al governo
E già i suoi ironici e disillusi cortigiani lo chiamano “modulo Galliani”, perché così come il Cavaliere calcistico ha deciso di non decidere nel suo Milan governato da due amministratori delegati, Adriano Galliani e Barbara Berlusconi, così il Cavaliere politico ha deciso di non decidere riguardo a Forza Italia, partito senza incarichi (anzi, governato da comitatoni regionali da 50 elementi ciascuno), né sembra aver maturato idee chiare riguardo al destino del governo, di cui rimane mezzo socio e mezzo oppositore. “Berlusconi vuole arrivare alle europee senza drammi, vuole tenere tutti, non vuole perdere nemmeno un uomo, nemmeno un voto”, confessa bonario Gianfranco Micciché, sottosegretario dimissionario delle larghe intese, lui che ha abbandonato il governo di Letta e Napolitano – pare – prima che il Cavaliere glielo chiedesse, cioè prima che il Sultano di Arcore decidesse che invece “è meglio se i nostri sottosegretari restano dove sono” (cosa che ha fatto innervosire Letta, adesso deciso a “pretendere” le dimissioni). E infatti il verbo ambiguo del presidente padrone, disceso fino ai piedi dell’instabile trono di Letta e Napolitano, suona all’incirca così, “state fermi”.
E poiché nel suo mondo inafferrabile e contraddittorio non c’è ghiribizzo o cacofonia di cui non si possano disciplinare i contegni attraverso alfabeti, scale Mercalli e grammatiche, i suoi uomini fedelissimi, riuniti nelle stanze di piazza San Lorenzo in Lucina, si guardano fra loro negli occhi gravidi di curiosità e s’interrogano: “Oggi a che livello siamo nella scala dell’incertezza?”; “livello 3”, risponde sornione Maurizio Gasparri. E l’uso satirico dei numeri è come un’armatura che li difenda dalla solitudine spaurita del dubbio; i dignitari di Forza Italia rinunciano a penetrarsi della verità di Berlusconi, il cui segreto è troppo semplice o troppo incandescente per loro. D’altra parte il Cavaliere ha costruito (o è stata costruita per lui) una zona grigia, anfibia, che sta di qua ma sta anche di là, fatta di parlamentari di Forza Italia pronti a passare con Alfano, alfaniani pronti a tornare in Forza Italia, sottosegretari fedeli a Palazzo Chigi ma anche a Castello Grazioli. Fedele Confalonieri e Gianni Letta hanno teorizzato il bipolarismo in casa propria.
Essendo d’intelligente razza latina, Fedele Confalonieri è poco incline al culto degli eroi e perciò del suo amico fraterno Cavaliere fa ogni tanto oggetto di affettuosi e confidenziali motteggi, “Silvio è Amleto”, dice con candore. E per meglio proteggere Amleto è necessaria attorno a lui una struttura amletica, una cosa che gli aderisca – per quanto possibile – come uno strano e proteiforme guanto, che ne riproduca e ne assecondi le fantasiose ambiguità, gli scarti improvvisi e le temerarie ritirate, le giocose e ciniche incertezze, un organismo, un universo elastico e gommoso che gli permetta di restare nel suo confuso e indecifrabile limbo senza troppo patire. Il presidente di Mediaset è stato un sostenitore acceso dei due partiti per un solo leader, gli alfaniani da una parte e i forzaitaliani dall’altra ma tutti sotto il supremo tetto di Arcore, poi si è fatto più cauto, ha visto in televisione le baruffe di Santanchè e Formigoni, ha ammesso che due aziende concorrenti forse non possono avere lo stesso amministratore delegato senza danneggiare i loro bilanci, malgrado altri amici e familiari del Cavaliere, come Gianni Letta e Cesare Previti, gli abbiano invece spiegato che la politica non è come lo share, e che insomma i voti a differenza del pubblico televisivo alla fine si sommano sempre. E da personalità pratica qual è, Confalonieri, uomo d’affari e di concretezza, lui che guarda alla sostanza delle cose, da quel momento in poi si è messo a osservare con un misto di fascinazione e timore lo strano e geometrico caos alimentato intorno al suo amico, quasi fratello Berlusconi; in politica come altrove, in Forza Italia come nel Milan. Il prestigiatore, Berlusconi supremo, non solo è bravo, ma bara. Modulo Galliani, appunto.
“Se hai un prodotto e non c’è mercato è inutile mettersi a fare pubblicità”, suggerisce, sinuosa, Daniela Santanchè, lei che vorrebbe abbattere Letta, Napolitano e tutto il cucuzzaro della grande coalizione. Il mercato sono le elezioni, che non si vedono all’orizzonte. Eppure la Pitonessa non spera, ma sa, che l’apparente incertezza di Berlusconi ha un senso remoto e che misteriosamente sarà prima o poi riscattata da un colpo di reni (“o da un colpo di culo”, dicono). Dunque attende con calcolata pazienza e asseconda la calibrata follia del suo capo, senza tuttavia derogare mai dal ruolo che il destino ha voluto assegnarle, quello d’aggressiva Pitonessa politica. Nel frattempo, nell’attesa, si deve galleggiare nel vischio prodotto dal Mago di Arcore, e dunque i sottosegretari finché possibile restano al loro posto, così come il loro odiatoamato governo.
“Berlusconi ce lo aveva già chiesto di non dimmetterci”, racconta Micciché, “poi però Silvio ha cambiato idea”; e infine, l’inconoscibile Sovrano di Arcore, l’ha ricambiata ancora una volta: “Restate dove siete”, ha ordinato ieri Berlusconi incorrendo nell’indissimulabile irritazione di Enrico Letta e Napolitano, i quali hanno cominciato a pretendere che viceministri e sottosegretari di Forza Italia se ne vadano (ieri il primo, il viceministro degli Esteri Bruno Archi). Ma ogni disordine nel Castello è sincera menzogna, polvere negli occhi per frastornare e restare sempre vivi e in sella. E così le grandi battaglie anti euro, persino l’escogitazione creativa d’un referendum contro la moneta unica, con tutta la mole di letteratura che Daniele Capezzone – presidente della commissione Finanze della Camera, altro posto che spetta ai membri della maggioranza di governo ma incongruamente trattenuto dalla strana opposizione – restano ancora a impolverarsi in un cassetto, forse non per sempre, ma chissà. Anche Renato Brunetta macina idee, altroché, si agita e agita i suoi collaboratori, è un turbinio di fantasia, irrefrenabile, sogna di cavalcare il ministro Saccomanni e il premier Letta come Astolfo, il paladino focoso e impulsivo di Ariosto, cavalcava il suo nobile cavallo, ma poi anche l’inarrendevole Brunetta deve arrendersi di fronte al suo gommoso Sovrano. E sgrana gli occhi, morde il freno, perché il via libera supremo, “si cominci”, non arriva mai. E insomma il governo non cade, la campagna elettorale non comincia, e dunque è persino inutile che l’immaginifico amministratore delegato di Forza Italia, Berlusconi dottor Silvio, prenda una decisione di qualsiasi tipo mentre altri fanno il lavoro sporco anche per lui, Beppe Grillo cannoneggia il muro portante della grande coalizione (Giorgio Napolitano) e Matteo Renzi scheggia l’altro colonnino, il muretto Alfano.
E il modulo Galliani, applicato a ogni aspetto della loro sfibrante convivenza con il Capo, è stordente per gli uomini e le donne di Forza Italia. Ieri il Cavaliere, tornato a Roma (per presentare oggi il libro di Bruno Vespa, non certo un salotto antigovernativo), ha finalmente imposto l’ordine del disordine nel suo partito. Per non scegliere, per non consegnare la sua Forza Italia a nessuno, ha escogitato un’organizzazione pletorica e dispersiva, confusa eppure perfetta, puntiforme ma geometrica, secondo l’idea cinicamente ludica che Lui ha del potere e del suo esercizio. Dunque, ai cortigiani che speravano di incontrarlo per ricevere promozioni e galloni, mostrine e medagliette, Berlusconi ha invece mostrato un mondo fatto d’una miriade di parlamentini regionali: “In ogni regione si avvierà una fase costituente”, ha detto il Cavaliere, sadico, “che prevede la formazione di un comitato composto da tutti i parlamentari nazionali ed europei eletti nelle stesse regioni. Ne faranno parte anche esponenti della società civile”. Il caos organizzato, la costituzionalizzazione della stasi, d’una immobilità che gli consentirà di fare tutto lui, e delegando il minimo indispensabile. “Odia il partito”, sintetizzano, consapevoli, i cortigiani, gli stessi che in pubblico si vestono da non partito, da antipartitocratici, per farlo contento. “Adesso prende forma la grande intuizione del presidente”, esulta Deborah Bergamini; “la scelta compiuta oggi da Berlusconi dà slancio alla nuova Forza Italia”, recita Raffaele Fitto; “finalmente una struttura non autoreferenziale, ma aperta alle istanze dei cittadini”, gioisce Jole Santelli… In realtà il Cavaliere ha deluso tutti, e tremendamente. Ha azzerato il correntismo serpeggiante e non ha premiato i falchi che si aspettavano di riempire il vuoto lasciato da Alfano per scagliarsi contro il governo.
Fedele soltanto alle sue incognite inclinazioni e imprendibili fantasmagorie, Berlusconi continua piuttosto a costruire quella strana creatura chiamata “club Forza Silvio”, i suoi comitati elettorali, paralleli e impasticciati col partito, affidati a Marcello Fiori, l’ex numero due di Guido Bertolaso, una figura di cui tutti i dignitari di Forza Italia parlano benissimo finché temono di essere intervistati, ma poi, una volta al riparo, sussurrano: “Lo sapevi che è stato capo segreteria di Gentiloni? Quello stava al ministero con Rutelli”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Salvatore Merlo – @SalvatoreMerlo