Stabilità illegittima e debole. Napolitano
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e la mossa del cavallo per restituire slancio all’Italia
Specie in tempi di crisi e ristrutturazione, e con profili drammatici nella vita sociale, i governi devono agire, convincere, trascinare, non galleggiare. Giorgio Napolitano ha provato due soluzioni dopo la caduta dalla guida dell’esecutivo e della maggioranza di Silvio Berlusconi (novembre 2011), che è stato l’ultimo premier votato dagli italiani. La prima era una depoliticizzazione tecnocratica della democrazia italiana, con l’operazione Monti. Iniziativa ambiziosa, che ci ha precluso la via dell’autogoverno maggioritario, elettorale, ma che qualcosa di importante ha dato, naufragando infine nei marosi confusi della politica di partito.
Dopo lo stallo elettorale dello scorso febbraio 2013, e in occasione della sua inaudita e necessaria rielezione al Quirinale, Napolitano ha tentato lo choc della larga coalizione tra fazioni storicamente nemiche, a significare l’estremo bisogno di legittimazione dell’esecutivo in nome del principio di realtà e dell’urgenza di grandi riforme, il tutto nel segno obbligato di una sostanziale seppure transitoria pacificazione. Ma anche questo tentativo è fallito. Un governo di larga coalizione è diverso da un esecutivo di ribaltone, che conta per sopravvivere su una maggioranza raccogliticcia di piccoli gruppi secessionisti e sull’opportunismo parlamentare.
L’immobilismo economico, sociale e istituzionale della piccolissima coalizione sopravvissuta alla solita crisi togata (sentenza Esposito del 3 agosto e sua gestione politica pasticciata e vile da parte dei partiti di sinistra) non è solo frutto di “stabilità cimiteriale” di atti e programmi, come scrive il Wall Street Journal, è anche la conseguenza di questo esaurimento della spinta legittimante degli inizi. Nella nuova situazione il presidente della Repubblica può intestardirsi e lavorare, come sembrerebbe voler fare, alla custodia o blindatura di questa stabilità debole.
Oppure può fare la mossa del cavallo, spiazzare e confondere un establishment estenuato dalla propria miopia e fiacchezza muscolare (Lodovico Festa lo chiama da sempre “il piccolo establishment”), tenendo conto anche della novità determinata dall’affacciarsi prevedibile di una nuova leadership del Partito democratico e della vocazione a un ritorno alle urne delle maggiori forze oggi all’opposizione.
Napolitano non merita la consumazione del suo secondo mandato nel tran tran di una politicuzza insignificante. Ha posto la questione della giustizia e dell’amnistia. Ha sollevato il problema chiave di una nuova architettura del sistema istituzionale e politico. Sa, e ieri ci è tornato su, che la chiave di volta della ripresa è in una relazione nuova tra Italia e Unione europea. E dunque? Solo una serena, perfino ottimistica via alle urne, e proprio in coincidenza con le elezioni europee, è in grado di restituire fiato ed energia politica a lui e a tutti noi. La Spagna, che ha problemi più gravi dei nostri, è uscita con una stabilità legittimata dal voto dalla crisi recessiva, e ha ripreso lo slancio necessario per farcela. Noi no.
© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 4 dicembre 2013 - ore 06:59