In ginocchio da Assad. I servizi segreti occidentali

tornano a Damasco a chiedere collaborazione al capo delle spie

siriane.Ambasciatori europei e servizi segreti sono impegnati in visite discrete a Damasco per tentare di riallacciare le relazioni con il governo siriano dopo anni di apertissimo sostegno all’opposizione, scrive Sammy Katz di France Press da Beirut. Secondo sue fonti, alcuni servizi segreti occidentali hanno contattato le loro controparti siriane per mettere alla prova i vecchi legami. Alcuni hanno anche incontrato il generale Ali Mamlouk, che è sulla lista degli uomini di regime colpiti dalle sanzioni dell’Unione europea. Il nome del generale è significativo: trent’anni dentro l’apparato di sicurezza, fedelissimo del presidente Bashar el Assad nononsotante non sia alawita ma sunnita, Mamlouk è già stato l’uomo di collegamento dei servizi di Damasco con l’occidente. Era lui a tenere i contatti con i servizi segreti americani durante la stagione della collaborazione tra Washington e Damasco, cominciata dopo l’11 settembre contro il terrorismo islamista. Nel 2007 secondo un cablo poi pubblicato da Wikileaks, i diplomatici americani in Siria chiesero al dipartimento di stato che Mamlouk fosse colpito da sanzioni finanziarie perché comandava la repressione del governo contro il dissenso interno. “Il ruolo dell’organizzazione che fa capo a lui nel sopprimere il dissenso è nota a tutti in Siria e se noi lo dichiarassimo avrebbe un grande impatto qui”, scriveva Michael Corbin, incaricato d’affari dell’ambasciata. Le sanzioni finanziarie furono invece rifiutate perché Mamlouk a quel tempo era utile: le truppe americane in Iraq erano impegnate ogni giorno contro al Qaida e ogni mese centinaia di combattenti stranieri passavano dalla Siria per andare volontari in Iraq (il ruolo di Damasco era simile a quello della Turchia oggi).

L’ultimo incontro tra americani e Mamlouk fu nel 2010. Il generale si presentò a sopresa a un incontro tra una delegazione americana specializzata in antiterrorismo e il ministro degli Esteri – che per l’occasione si improvvisò traduttore della presentazione americana in inglese alle orechie del generale. Mamlouk spiegò agli americani che i suoi servizi segreti erano molto più efficaci perché avevano “un approccio pratico, e non teorico, al problema”. I siriani lavoravano specialmente sull’infiltrazione dei gruppi, e aspettano pazientemente i risultati. “Per questo disponiamo di moltissime informazioni e dovremmo essere noi a guidare questa cooperazione”, disse Mamlouk agli americani. Le sanzioni americane contro di lui sono arrivate nell’aprile 2011, quelle dell’Europa un mese dopo. Adesso è tornato il suo momento per lo stesso motivo del 2007 e del 2010. “La presenza in Siria di un migliaio di jihadisti europei è una preoccupazione seria per i loro paesi di provenienza”, dice una fonte diplomatica occidentale. “Per questo i servizi di sicurezza di quei paesi stanno recuperando la collaborazione che era stata messa in pausa negli ultimi due anni”. La fonte diplomatica sostiene che anche l’intelligence francese ha mandato due agenti a incontrare Mamlouk per chiedergli se fosse pronto a ricominciare la collaborazione. “E’ stato duro. ‘Siamo pronti, ma lo vogliamo? La risposta è no, no fino a quando la vostra ambasciata rimarrà chiusa’”, ha risposto il capo dei servizi siriani. Un tentativo simile da parte degli inglesi ha fatto la stessa fine. Secondo una ricostruzione fatta dalla rivista Nouvel Observateur, la Francia era pronta a bombardare la Siria e annullò l’intervento armato a poche ore dal suo inizio.

Con la seconda conferenza di pace di Ginevra fissata per gennaio, si prevede che nei primi tre mesi del 2014 l’attività diplomatica europea riprenderà – anche se non ai livelli di prima. Se il presidente Assad resta al suo posto tanto vale parlargli di nuovo è stato il pensiero di una decina di cancellerie occidentali negli ultimi mesi. “Fin da maggio, poco alla volta abbiamo cominciato a ritornare. Prima con cautela, per un giorno, poi per due, poi per tre”, dice un ambasciatore europeo in Siria che dal dicembre 2012 è di stanza a Beirut e preferisce rimanere anonimo. “Adesso andiamo due volte al mese”. La maggior parte dei diplomatici stranieri ha lasciato la capitale siriana nel dicembre 2012. L’ambasciata russa è ancora attiva, per la relazione forte tra Damasco e Mosca, ma è colpita con i mortai dai ribelli una volta alla settimana. Dell’Unione europea, soltanto l’ambasciatrice ceca, Eva Filippi, non ha mai lasciato la città, assieme a uno staff ridotto di tre persone.

I duri in Iran per ora tacciono

Ieri il New York Times ha pubblicato un bel reportage del suo corrispondente da Teheran, Thomas Erdbrink, per dire che l’ala dura dell’establishment iraniano per ora tace, in attesa di scatenarsi contro l’accordo sul nucleare. Se i negoziati volgessero a sfavore dell’Iran, loro organizzerebbero manifestazioni di massa per chiedere di ritirare la delegazione. La Guida suprema li tiene come riserva della Repubblica islamica, in caso servissero. Il presidente Hassan Rohani non dispone invece di tale capacità di mobilitazione; aveva promesso di sbloccare Facebook, per creare una rete simile ai rivali, ma non c’è riuscito.

FQ. di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri, 3 dicembre 2013 - ore 06:59

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