Così Letta ingaggia la sua trattativa con l’Ue
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Il governo pressato da Grillo, Cav. e Renzi sul deficit.
Bruxelles ci scruta. Mancano 209 giorni all’inizio del semestre europeo a guida italiana, cioè al traguardo cui l’esecutivo dichiara di voler arrivare a tutti i costi per poi contribuire a modificare le scelte di politica economica dell’Unione europea. Tuttavia il presidente del Consiglio, Enrico Letta, sa bene che la navigazione sarà oltremodo travagliata a meno che il governo non possa, già prima del 1° luglio 2014, rivendicare di aver ottenuto qualche concessione da Bruxelles. A metà novembre, infatti, l’esecutivo si è visto negare dalla Commissione Ue quel margine di manovra per cui Mario Monti aveva posto tutte le condizioni: l’esecutivo brussellese, una volta valutata la Legge di stabilità in corso d’approvazione, ha ritenuto di dover congelare la “clausola di flessibilità” sugli investimenti cofinanziabili da Roma e Bruxelles, stabilita in circa 3 miliardi, da scomputare dal tetto al deficit. Le stime di crescita per il 2014 fornite da Via XX Settembre sono state considerate troppo ottimistiche dagli esperti comunitari, e quindi anche la riduzione del rapporto debito/pil non è stata ritenuta credibile. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, insiste: l’Ue non tiene conto degli effetti positivi della manovra, così si spiega lo scarto tra il più 1,1 per cento di crescita atteso a Roma e il più 0,7 stimato di Bruxelles. A febbraio prossimo, la Commissione tornerà a esprimersi con nuove previsioni, e se allora le stime del pil cambiassero in meglio, forse la clausola di flessibilità si sbloccherrebbe di nuovo.
Letta però non se la sente di attendere per quasi tre mesi senza tentare nel frattempo altre strade. O forse non se lo può permettere. Infatti, d’un tratto, tutti i leader con maggior seguito nell’opinione pubblica – da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, passando per Beppe Grillo – hanno cominciato a esercitare un pressing extraparlamentare per rivedere gli obiettivi di risanamento fiscale concordati con l’Ue, senza complessi, evitando che l’eccessivo rigorismo strangoli sul nascere una ripresa già debole. Il leader del Movimento 5 stelle, Grillo, è intervenuto finora con maggiore evidenza mediatica, in occasione del V-day di domenica scorsa: ha detto di puntare al primato alle elezioni europee di maggio e ha presentato una “modesta proposta” che colpisce tutti i capisaldi del credo lettiano. Chiede un (impossibile) referendum sulla permanenza nell’euro, l’abolizione del Fiscal compact e del pareggio di bilancio, l’adozione degli Eurobond e l’alleanza tra i paesi mediterranei per una politica comune finalizzata eventualmente all’adozione di un euro 2, oltre a investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3 per cento annuo di deficit.
Extraparlamentarismo e lotta all’austerity
Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti, ieri, titolava così in prima pagina: “Grillo riapre la battaglia dell’euro (tanto cara a Berlusconi)”. Il leader di Forza Italia, di recente costretto a divenire un extraparlamentare, nel giugno scorso – in un’intervista a questo giornale – aveva chiesto a Letta che l’Italia non fosse “messa all’incanto con metodi egemonici da chi è in posizione di forza”, aveva suggerito “un braccio di ferro” diplomatico a Bruxelles come elemento fondante del governo di larghe intese, così da ottenere cambiamenti nella politica monetaria e non solo. Adesso, infine, anche Matteo Renzi, segretario in pectore del Pd, definisce il cambiamento dei vincoli europei come una delle tre condizioni per continuare a sostenere Letta. Nella sua mozione per la segreteria del Pd, il sindaco di Firenze si impegna a “chiedere all’Europa di cambiare le sue regole e perfino i suoi paletti. A partire dal parametro del 3 per cento nel rapporto deficit/pil; un parametro anacronistico”. Tutti i leader più quotati nell’opinione pubblica chiedono dunque radicali correzioni di rotta. Come risponde Letta, il cui ministro Moavero Milanesi ancora ieri garantiva l’obbedienza al criterio del 3 per cento? Da una parte è tornato a mettere in guardia dalle “spinte antieuropee”. Dall’altra si è attivato per evitare qualsiasi sorpresa in vista del pronunciamento di febbraio della Commissione Ue. Non a caso, subito dopo gli eurosculaccioni di novembre, il governo ha presentato – in due distinte conferenze stampa – nuovi e più ambiziosi obiettivi per tagli alla spesa e privatizzazioni. Fonti dell’esecutivo Ue confermano al Foglio: “Ora che i nuovi piani ci sono, ne potremo tenere conto per le nuove stime. Ma valuteremo il testo finale della manovra così come i primi risultati di privatizzazioni e spending”. Gli annunci non basteranno a tenere buona la Commissione, dunque, né il terzetto Grillo-Berlusconi-Renzi.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Marco Valerio Lo Prete – @marcovaleriolp