Ruby, il comune senso del pudore e un rito

inquisitorio che non lascia scampo. Aspettando il Grande Arresto

Tutto è pronto per il gigantesco rogo simbolico di una compagnia di giocherelloni irresponsabili, che non sapevano di vivere in una Repubblica talebana d’Europa

Berlusconi non ama giocare a canasta con delle coetanee. Lele Mora non faceva di mestiere il notaio, bensì il procacciatore di starlet per l’industria dello spettacolo, in particolare televisivo. Emilio Fede, che è una maschera della commedia all’italiana da sempre, era amico di Berlusconi. Hanno organizzato con amiche anche avventizie numerose cene private di tono scollacciato e teatrino di un gioco burlesque chiamato bunga bunga. Può ben essere che questo fosse sconveniente per un uomo di stato, ma sull’etica pubblica decidono istituzioni elettive e di garanzia, la responsabilità e la coscienza personale dei soggetti coinvolti, e alla fine gli elettori.

Se a decidere di tutto questo sono invece i magistrati, e se lo fanno attraverso una accanita azione di giustizia penale, legale ma illegittima, interpretando in modo forzato tutti i termini processuali, ingigantiti e deformati fino all’assurdo dal sistema dell’informazione, si arriva alla situazione tragica che abbiamo davanti agli occhi. I pm imbastiscono processi in sospetto di stato di polizia, collegi giudicanti composti da loro confratelli in regime di carriera unica realizzano il presupposto della condanna penale la più dura su peccati o comportamenti privati trasformati in reati, e all’atto delle motivazioni delle condanne, come sta per succedere a Berlusconi, a Mora, a Fede, ai testimoni e alle testimoni del processo Ruby, e perfino agli avvocati, la palla torna ai colleghi della procura che finiscono l’opera di demolizione. Il rito inquisitorio sostanziale si perfeziona aggiungendo al tutto il processo imminente a Milano per corruzione in atti di giustizia e falsa testimonianza.

E’ semplice. Inseguo il tuo stile di vita che disprezzo con mentalità rivelata dal linguaggio extragiuridico delle motivazioni delle sentenze, ti condanno per prostituzione senza nemmeno avere la prova di atti sessuali, espongo al ludibrio guardone dell’opinione pubblica le ragazze e la loro “furbizia orientale” di puttane, e poi ti accuso di averle pagate perché esplicitamente, in dichiarazioni pubbliche, tu stesso hai riconosciuto tuo dovere proteggerle disponendo del tuo patrimonio e delle tue risorse. Seguiranno decreti di perquisizione, sequestri di conti, interrogatori il cui contenuto e sfondo è inevitabilmente e gravemente intimidatorio, e forse arresti tra i quali il Grande Arresto, quello di Berlusconi.

Questa è la storia vera dei processi Ruby. Processi a caratura politica e culturale, intrisi di un “comune senso del pudore”, cioè della vecchia formula moralista e censoria che serve, sbattuta contro la faccia mostrificata dell’inventore della tv commerciale, a cancellare qualcosa di rilevante sotto la nuvola nera del crimine. L’attacco, o meglio la vendetta strategica ventennale di classi dirigenti di establishment che si sono affidate al diritto di ferro e di fuoco, è a un’esperienza politica che la coscienza “illibata” di una parte della nazione respinge e considera intollerabile (Forza Italia con le sue anomalie democratiche o populiste eccetera); ma l’attacco politico è raddoppiato dalla messa in questione criminale dell’elemento culturale libertino che ha fatto breccia, con tutte le sue trivialità ma in piena legittimità, nel cuore del paese della tv dei friends e dei tronisti e delle veline. I magistrati e i loro reggicoda mediatici considerano questo scenario malato di false fisime di autonomia, e perciò si spingono fino alla criminalizzazione dell’uso del proprio corpo da parte delle donne e del denaro come sterco del demonio.

Berlusconi sarà sottoposto a un altro rito d’accusa immediato, che minaccia di concludersi entro l’estate, in cui non potrà essere difeso dai suoi avvocati, divenuti coimputati, e dovrà fronteggiare le prevedibili conseguenze di una devastante inquisizione delle coscienze di ragazze disinibite e ora impaurite e confuse. Tutto è pronto per il gigantesco rogo simbolico di una compagnia di giocherelloni irresponsabili, che non sapevano di vivere in una Repubblica talebana d’Europa, e pagheranno questa irresponsabilità lasciando su tutti noi, in conseguenza del processo a spirale, infinito, e delle condanne a grappolo, una traccia di regressione morale e culturale che durerà decenni.

E’ una sindrome triste e incandescente, un travolgimento ideologicamente totalitario di tutte le guarentigie liberali tipiche di una società che dovrebbe essere fondata sull’indipendenza dell’individuo libero dalla pressione di un sistema penale armato di pregiudizio. Sono processi che un Voltaire del nostro secolo, purtroppo evocabile solo in astratto, distruggerebbe come delitti. E’ l’infâme dei nostri tempi.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 30 novembre 2013 - ore 06:59

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