Les putains de la République
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Il tabù della prostituzione al centro della disputa
tra Agacinski e Badinter, femministe e filosofe francesi (che non sono mai d’accordo su nulla)
Donne rivali, sì rivali, che si scontrano apertamente e aspramente alla faccia di chi le donne le vorrebbe sempre d’accordo, sempre solidali e, quindi, un po’ sceme. Elisabeth Badinter e Sylviane Agacinski sono due filosofe anzi, come ha detto qualcuno, due star della filosofia. Si avviano ai settant’anni e sono belle. Entrambe hanno alle spalle un impressionante elenco di libri, articoli e saggi. Entrambe appartengono alla gauche, sono madri (la prima di tre figli, la seconda di uno) sono e sono state legate a uomini importanti. Sylviane Agacinski, madre francese e padre ingegnere polacco immigrato in Francia, ha avuto un figlio dal filosofo Jacques Derrida, il teorico del decostruzionismo, ed è sposata da molti anni con Lionel Jospin, ex primo ministro e mostro sacro dei socialisti francesi. Elisabeth Badinter, figlia di Marcel Bleustein-Blanchet, magnate e fondatore di Publicis, terzo gruppo editoriale al mondo, è la moglie di Robert Badinter, ministro della Giustizia di François Mitterrand quando la Francia abolì la pena di morte.
Entrambe si dichiarano femministe. In cima ai loro interessi c’è e c’è sempre stato il rapporto fra i sessi. Su questo hanno scritto la loro montagna di opere. Eppure, queste due donne apparentemente simili, non sono d’accordo quasi su nulla e su tutto discutono, polemizzano, litigano da anni. E ogni volta mettono sul piatto del dibattito pubblico principi, valori, visioni del mondo.
La battaglia più recente è di qualche giorno fa, a proposito della legge che vuole introdurre in Francia sanzioni per i clienti delle prostitute, e che in questi giorni è all’esame dell’Assemblea nazionale. Agacinski a favore, Badinter contro. Negli ultimi mesi lo scontro era stato sulla legge che introduce il matrimonio gay. Badinter a favore, Agacinski contro. E ancora, corollario della questione precedente, sulla legalizzazione della pratica dell’utero in affitto. Badinter a favore. Agacinski contro.
Elisabeth Badinter ha posizioni nettamente gauchiste che lei è capace di declinare con una autorevolezza speciale e occhi di ghiaccio. In un’audizione all’Assemblea nazionale ha parlato a favore del matrimonio fra omosessuali per tredici minuti. Severa, pedagogica, inflessibile. E’ apparsa rispettosa certo, ma sotto sotto un po’ sprezzante. “Chi lo rifiuta – ha spiegato – lo fa per due ragioni: per il fatto che esiste una rappresentazione millenaria dell’unione della donna e dell’uomo come l’unica legittima nella nostra società e per il fatto che il matrimonio per tutti aprirebbe la via all’omoparentalità”. Lei smonta le obiezioni. “Si dice spesso – afferma – che un bambino ha bisogno di una madre e di un padre per crescere bene. Del papà perché lui nell’immaginario collettivo è fermo, severo, retto e inflessibile, della mamma perché si suppone dolce che cucini bene e usi l’ammorbidente Cajoline. Ma – prosegue Elisabeth Badinter – non perché si è madre o padre che si è buoni genitori capaci di rispondere adeguatamente ai bisogni dei bambini. Non è perché si è messo al mondo un bambino, che si è dotati degli ormoni della maternità, che si saprà amarlo. L’istinto materno è un mito e la femmina non è che una femmina animale. Ha una storia e un inconscio che potrebbero giocare i peggiori scherzi con tutte le conseguenze che si sanno sul bambino. In fondo – conclude – si parte come sempre dall’idea che una donna è fatta per amare i bambini che porta in grembo. Non ne posso più di questo pregiudizio naturalista che è smentito tutti i giorni. Dobbiamo accettare che le donne sono diverse”.
Ha un che di rassicurante per noi donne di sinistra la inflessibilità di Elisabeth Badinter. Anche ciò che può sembrare oramai luogo comune appare pensiero nuovo e luccicante. E poi le riconosciamo una coerenza che ci ha aiutato non poco. Sono anni che lei, madre di tre figli, cerca di smontare quel “mito della maternità” che ha oppresso decine di generazioni di donne. Dopo quell’altra benemerita che negli anni Settanta ci ha aperto un mondo (parlo di Betty Friedan e della sua “Mistica della femminilità”) lei ci ha dato una bella mano. Ricordo ancora il senso di liberazione che ho provato quando ho letto ormai molto tempo fa “L’amore in più. Storia dell’amore materno” (pubblicato nel 1981 da Longanesi e da poco ripubblicato da Fandango). Sosteneva che quel sentimento così celebrato e ritenuto “naturale” era in realtà recente, prima le madri non avevano mica quell’attaccamento ai figli che oggi va tanto di moda. E poi la soddisfazione che ha procurato a me, madre imperfetta, il suo più recente. “Le conflit: la femme et la mère”, tradotto in Italia con “Mamme cattivissime?” (Corbaccio). Elisabeth Badinter fa l’elogio di quella madre mediocre in cui tante anche delle nuove generazioni possono riconoscersi. E se la prende con quella alleanza reazionaria formata dai movimenti ecologisti, da una vasta corrente di pediatri e di psicologi e dal “femminismo della differenza” che le colpevolizza chiedendo loro la perfezione e in realtà vuole distruggere “la donna” in nome della “madre” e “che al figlio deve tutto il suo latte, le sue cure, il suo tempo, le sue energie. Una nuova forma di dominio maschile”, dice.
A leggerla si tira un sospiro di sollievo. Ci culliamo con qualche serenità in quelle sicurezze che abbiamo faticosamente conquistato. Poi incontriamo Sylviane Agacinski e le nostre contraddizioni ci vengono ributtate tutte addosso. Perché finora siamo state convinte che la libertà della donna non possa non coincidere col benessere e la libertà dell’umanità. Lei non la pensa così. E quindi addio sicurezza nell’emancipazione e nell’infallibilità del progresso.
Sylviane Agacinski non è d’accordo col matrimonio gay. Lo ha detto e ripetuto fin da quando in Francia è iniziata la discussione in Parlamento. Ma non si deve pensare a un Giovanardi in gonnella. Non è una retriva, una reazionaria, omofoba e perbenista. E’ preoccupata per le implicazioni delle scoperte scientifiche, che permettono agli omosessuali di avere figli sconvolgendo rapporti biologici e certezze millenarie, provocando la fine della civiltà e della società così come l’abbiamo conosciuta finora. La famiglia – dice – non può che essere dominata da una matrice biologica, “perché anche cercando l’universale nelle nostre vite non possiamo non riconoscere che un figlio può originarsi solo da un padre e una madre, ovvero da un uomo e una donna”. E poi il grido d’allarme: il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’accettazione che essi possano avere dei figli non può che portare al mercato delle madri surrogate, e quindi al commercio di esseri umani. Ammetterete che chi, per appartenenza alla sinistra, ha già molte difficoltà ad accettare il lavoro come merce, immaginare il corpo femminile comprato e venduto perché possa fare figli per qualcun altro provoca qualche brivido. Anche noi, pur convinte che sulla maternità sono state raccontate un sacco di frottole a uso e consumo maschile, quando sentiamo i dati sui prezzi dell’utero, sul business che si è creato attorno a esso, o osserviamo la condizione delle madri surrogate e la pericolosa deriva dei compratori che pagano e quindi vogliono il figlio bello, alto, biondo, con gli occhi azzurri, e per questo si rivolgono preferibilmente ai paesi dell’est, rimaniamo inorridite. Dice Sylviane Agacinski: dietro il matrimonio gay c’è una deriva pericolosa, la fine della procreazione e dell’avvicendamento della generazione così come li abbiamo conosciuti finora. E non protegge per niente la donna, anzi ne utilizza il corpo, lo rende merce. E certo non ci sono dubbi sul fatto che nel nuovo mercato dei corpi saranno le più deboli e le più povere a rimetterci. Anche lei ha scritto un libro che è stato riedito proprio in queste settimane “Corps en miettes”, corpi in vendita, nel quale chiama alla resistenza contro il baby business che ha bisogno dell’utero in affitto. La propaganda in favore del Gpa (gestation pour autrui), scrive “non maschera la violenza di questa pratica. Si deve resistere in nome della dignità della persona umana”.
Sylviane Agacinski parla in nome dell’umanità, del suo futuro. Anche lei lo fa con la durezza di chi afferma principi incontestabili. Ed è questo che, a un certo punto, lascia dei dubbi. Come si sa in nome dell’umanità sono stati commessi molti delitti e si sono fatte le peggiori nefandezze. In nome dell’umanità si è ucciso e torturato. Ma senza andare così lontano possiamo dire che, sempre in nome dell’umanità, si è procurata l’infelicità di molti singoli, uomini e donne che hanno dei problemi e cercano di risolverli, che per esempio vogliono un figlio e non riescono ad averlo, sono omosessuali e non vogliono essere discriminati nei sentimenti, sono malati che vogliono che il progresso scientifico dia loro delle cure. E’ per loro concretamente che si fanno le leggi. E allora forse il problema è averne cura, indirizzarli, aiutarli a comprendere e perché no? fare tutto quello che le leggi umane, nella piena consapevolezza della complessità e dei rischi, possono fare per eliminare disagi, ingiustizie e regalare un briciolo di felicità in più. Dirigerla secondo principi che suonano astratti è spesso crudele.
Elisabeth Badinter attacca la rivale proprio su questo punto. Prende le parti di chi soffre, di chi rivendica un pezzo di felicità. Il corpo può essere gestito e non, necessariamente e mercantilmente, usato. Quindi ci può essere una gestazione attraverso un’altra e questa può essere “etica”, non remunerata e quindi può essere legalizzata. Di conseguenza ha chiesto il riconoscimento dei figli nati all’estero attraverso la Gpa. “E’ una pratica riconosciuta – ha detto – come parte integrante della procreazione medicalmente assistita da parte della Organizzazione mondiale della sanità”. “Ci sono tante donne – racconta ancora – che adorano essere incinte e che non sopportano la responsabilità di educare un figlio. Ne ho abbastanza – e queste parole sono indirizzate direttamente a Sylviane Agacinski – che si usi la parola mercificazione. Prevedere la possibilità di portare un figlio per altri mi sembra apra a qualcosa di accettabile e sostenibile”. Secondo Elisabeth Badinter, insomma, è possibile un sistema che verifichi che la madre portatrice sia gratuita e tutti gli intermediari siano gratuiti. Possibile, ma difficile, verrebbe da rispondere. Perché i dati in questo caso sono inequivocabili e crudeli. Sono pochissime le donne che offrono gratuitamente il proprio corpo perché un’altra possa avere un figlio. Molte, invece, a quanto pare, sono disposte a venderlo. E con questo bisogna fare i conti. Se Sylviane Agacinski per difendere le sue idee ha bisogno di una concezione pessimista dell’umanità, Badinter ne dà una troppo ottimista.
L’ultimissima puntata (per ora) dello scontro fra le due riguarda, come si diceva all’inizio, la prosposta di legge sulla prostituzione che punisce il cliente con una ammenda di 1.500 euro, raddoppiabile in caso di recidiva. Agacinski è d’accordo, e l’ha sempre sostenuta anche quando decine di intellettuali, in un appello pubblicato dal Nouvel Observateur, si sono pronunciati contro. Tanto più la difende oggi di fronte all’appello dei “343 salauds” che hanno provocatoriamente protestato al grido “touche pas à ma pute”, giù le mani dalla mia puttana. Non si sono fatte attendere le dichiarazioni opposte di Elisabeth Badinter, tra i firmatari dell’appello sul Nouvel Obs (“pensiamo che ciascuno abbia il diritto di vendere liberamente le sue virtù, e persino di trovarlo appagante. Rifiutiamo che dei deputati emanino norme sui nostri desideri e sui nostri piaceri”). “La proposta di legge mi sembra una dichiarazione di odio contro la sessualità maschile – ha dichiarato – e lo stato non deve legiferare sulla sessualità degli individui, decidendo cos’è bene o male”. E in un’intervista pubblicata il 29 ottobre scorso dal Corriere della Sera ha insistito: “Esiste la prostituzione libera praticata da persone che decidono consapevolmente e senza costrizione di disporre del proprio corpo. Io, da vecchia femminista degli anni Settanta, penso che una donna abbia il diritto di usarlo come vuole. O lo stato vuole promuovere l’ideale di una sessualità sempre e solo legata all’amore? E chi gliene dà il diritto?”. “Non è normale – ha detto il 20 novembre al Monde – che le donne possano prostituirsi mentre agli uomini sia proibito andare con le prostitute”. Si può lottare contro la tratta e la schiavitù solo se le prostitute possono denunciare chi le sfrutta senza temere per la propria vita. Quindi devono usufruire dell’assicurazione sanitaria, devono avere dei documenti, devono essere aiutate in tutti i modi possibili. Punendo i clienti non si risolve niente.
Il legislatore, risponde Agacinski, “non ha la vocazione di intervenire nella morale privata delle ‘mantenute’ o dei ‘gigolò’, cosa che peraltro gli sarebbe impossibile. Ma è suo compito dire se il corpo umano e suoi organi possono essere considerati come merci a disposizione del pubblico, cosa che sarebbe contraria al diritto francese”. A coloro che rivendicano la libertà di prostituirsi, che affermano la libertà di ciascuno di fare ciò che vuole del proprio corpo, risponde che questa libertà in realtà nasconde “l’ineguaglianza sociale tra acquirenti e venditori” e si appoggia “su un sofisma”: “Affittare i propri organi, metterli a disposizione di una folla di clienti che ne fanno uso o abuso a loro piacimento, perché pagano, costituisce una rinuncia alla libertà e un asservimento specifico delle persone che si prostituiscono. Non ci può essere una ‘libera’ prostituzione così come non vi può essere una libera schiavitù”. E ancora: “La libertà di prostituirsi è ugualmente un’illusione in un’epoca in cui le prostitute realmente indipendenti rappresentano una parte infima della prostituzione, dominata dalle reti più che organizzate dell’industria del sesso”.
Il litigio continua e, a pensarci bene, non può che essere così perché queste due donne, filosofe, femministe e da anni abituate a intervenire nella sfera pubblica con tutto il proprio peso non sono in disaccordo su questa o su quella questione legislativa, ma su temi fondamentali, a cominciare da quello su cui due femministe in un immaginario comune dovrebbero essere d’accordo: il ruolo e la libertà della donna nella civiltà occidentale. Per Elisabeth Badinter le donne devono smettere di considerarsi e di farsi considerare delle vittime. Oppure di presumere una certa superiorità morale in quanto donne. E, ancora, cercare la vendetta sugli uomini. “A voler ignorare sistematicamente la violenza e il potere delle donne, a proclamarle sempre oppresse e quindi innocenti, si dipinge un’umanità divisa in due che non corrisponde alla verità. Da un lato le vittime dell’oppressione maschile, dall’altro i carnefici onnipotenti”, afferma provocatoriamente. Già nel suo saggio del 2003 intitolato “Fausse route” (in italiano “La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio”, Feltrinelli), Badinter aveva attaccato la misandria, le nuove leggi sulla “parità” politica e il modo in cui per legge si pensava di risolvere la questione della violenza e dei delitti ai danni delle donne. Le sue dure parole le hanno guadagnato l’accusa di non essere più una vera femminista, e lei ha risposto che “la vocazione del femminismo non dovrebbe essere quella di condurre una guerra di genere cercando una vendetta contro gli uomini”. Ciò che le donne devono raggiungere positivamente e senza tante storie è un’eguaglianza che nella storia per lungo tempo è stata loro negata. Eguaglianza? Sylviane Agacinski – ci pare di vederla – scuote la testa. Anche lei abbandona ogni diplomazia. Parola di matrice illuminista, dice dell’eguaglianza con un certo disprezzo che non tiene conto della realtà, della vita e della storia degli uomini e delle donne, della biologia. La fondamentale dicotomia della vita, per Agacinski, resta così quella tra uomo e donna: piuttosto che pretendere che questa differenza non esista o sia trascendente è meglio riconoscerla e puntare sulla parità. Parità, attenzione, e non eguaglianza che è un’altra cosa. Sylviane Agacinski appartiene al mondo del femminismo della differenza, lo rivendica e fa inorridire – immaginiamo – la filosofa rivale.
Parlare di diritti basati sulla differenza invece che sull’uguaglianza significa, per Elisabeth Badinter, ridurre la nazione a un insieme di tribù, che inseguono ciascuno il proprio interesse. E l’interesse generale della nazione, quello universale che riguarda tutti uomini e donne? Più si va avanti più lo scontro diventa profondo. E anche straordinario, senza un pettegolezzo, un insulto, una parola di troppo. Usando il dibattito, i libri, i saggi, gli interventi sulla stampa. Con un protagonismo non formale nel dibattito pubblico.
Diciamolo pure: di fronte alla faticosa presenza, se non all’assenza, delle donne nella vita pubblica italiana, una certa invidia nei confronti delle cugine e dei cugini francesi che possono ogni giorno confrontare le loro idee e confrontarsi su di esse, grazie a due donne che non temono il confronto e lo scontro pubblico, la proviamo.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Ritanna Armeni, 28.11.2013