Quel piagnisteo ipocrita delle jacqueries
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anti tagli non regge. Le imposte locali crescono ma i buchi
di bilancio s’allargano. Il problema è l’inefficienza cronica, non i soldi
Pianti, grida, lamenti: la Legge di stabilità distrugge i servizi sociali, quelli dello stato, a cominciare dalla sicurezza, consustanziale al Leviatano; e quelli degli enti locali, a partire dai trasporti. La jacquerie dei tranvieri genovesi, dunque, è colpa non solo del sindaco Doria, ma del governo Letta, dell’austerità, della gabbia del 3 per cento, dell’euro, della globalizzazione. Siamo sicuri? Scoppiano le bolle e vengono fuori le balle. Prendiamo le forze dell’ordine che vivono la loro “bancarotta umana e finanziaria” (parola di Repubblica). Il capo della polizia dice che i tagli impediscono di garantire la sicurezza. E il capo della polizia è un uomo d’onore. Il dottor Alessandro Pansa è anche un prefetto quindi conosce bene quel che scrive su prefetture e Viminale il rapporto sulla spending review stilato da Piero Giarda: l’80 per cento delle spese del ministero dell’Interno riguarda le strutture periferiche, per gli stipendi di 103 mila poliziotti, diecimila impiegati delle prefetture, 32 mila vigili del fuoco (quindi quasi tutti i 155 mila dipendenti che fanno capo al ministero) e per l’acquisto di beni e servizi. Dall’analisi emerge una diffusa “inefficienza gestionale”. La spesa per beni e servizi è pari a 1,7 miliardi di euro l’anno, gli acquisti centralizzati sono appena il 6 per cento.
Carabinieri e polizia ricorrono spesso a bandi di acquisto dell’altro corpo. I contratti per le stazioni periferiche costano almeno 400 milioni con variazioni del tutto irrazionali. Nel mezzogiorno, il numero di occupati a parità di condizione, le retribuzioni e gli stipendi, sono maggiori che al centro-nord, minori risultano le ore lavorate. Giarda descrive il “ben noto ciclo: concorsi e assunzioni per i territori del centro-nord, sviluppo iniziale della carriera con scatti di stipendio d’anzianità, trasferimenti al centro-sud con retribuzioni di fatto più elevate per effetto dell’anzianità”. E ancora: le prefetture sono organizzate allo stesso modo sia per province con 90 mila abitanti come Isernia sia per Milano che ne ha più di 3 milioni. La spesa così è molto maggiore in Molise che in Lombardia: 28,35 contro 5,93 euro per abitante. Riducendo le diseconomie si possono risparmiare cento milioni, secondo Giarda. Il prefetto Pansa ha fatto calcolare quanti poliziotti in più potrebbe assumere se tutto questo apparato diventasse efficiente?
Anche il capo dell’associazione dei comuni, Piero Fassino, dice che i disservizi delle società municipali sono in gran parte provocati dai tagli degli stanziamenti per la finanza locale. E Fassino, si sa, è un uomo d’onore oltre che un politico di primo piano ed ex ministro. Eppure il rapporto Giarda mostra anche l’altra faccia della realtà. Le spese degli enti decentrati (comuni, province e regioni) sono pari a 240 miliardi di euro, le entrate tributarie soltanto 100 miliardi. Dunque c’è un deficit di 140 miliardi che viene coperto con i trasferimenti dallo stato centrale. “Si tratta di una grave anomalia del sistema di finanza pubblica italiana”, dice Giarda. L’Imu (e ora la nuova imposta Iuc) hanno corretto questo squilibrio per circa 20 miliardi di euro. E non basta ancora, nonostante il balzo delle imposte locali. Dal 1997, quando è stata approvata la prima legge Bassanini, a oggi, sono aumentate di circa 75 miliardi di euro a un tasso del 200 per cento, a fronte di un incremento del 38 per cento per le imposte nazionali (più 102 miliardi). Dunque, il deficit si spiega con il semplice fatto che le spese corrono sempre più veloci delle entrate. Se il livello dei servizi pubblici locali si è inesorabilmente deteriorato, la ragione non è solo nella mancanza di risorse. Dopo lo scandalo dell’Atac, la campana suona per tutti.
La metà delle aziende di trasporto è in bancarotta. Oggi si parla di privatizzare le migliaia di municipalizzate. Ma chi le vuole? Prima bisogna ridurre i debiti, renderle efficienti, fonderle, chiudere quelle che non reggono, creare delle entità funzionanti e magari metterle in Borsa per dar loro un valore di mercato. Vasto programma. Potremmo ripetere l’esercizio per la scuola. E’ “la priorità delle priorità” e troppo poco viene destinato all’istruzione. Ma circa 2.000 istituti hanno meno di 500 studenti, la distribuzione dei docenti è squilibrata in seguito al calo demografico delle regioni meridionali. Diecimila insegnanti non svolgono il loro lavoro: 4.500 perché inidonei al servizio, gli altri perché distaccati o all’estero o in altre funzioni. Insomma, razionalizzazioni e risparmi sono possibili anche se la coperta è corta. Ciò vale ancor più per la giustizia: il 40 per cento delle spese del ministero è assorbito dalle intercettazioni telefoniche. Esistono mini-procure che si rifiutano di essere chiuse e accorpate perché altrimenti “si fa un favore alle mafie”. Ci sono pochi magistrati: si è scesi da 47 mila a 43 mila dei quali solo 38 mila in servizio effettivo. Tuttavia permangono enormi disparità territoriali e non si riesce ad attuare la mobilità (rigorosamente su base volontaria). Le carceri sono sovraffollate, con 43 mila posti per 66 mila prigionieri; ma non tutte: “L’impegno deve essere ricondotto alle aree di Roma, Milano e Napoli, prevedendo la soppressione di istituti minori”. Così scrive il rapporto Giarda; eppure, quando scoppia la periodica polemica sul sovraffollamento nessuno lo cita. Quante balle sono state spacciate su un’austerità ben poco austera come quella dello stato italiano. L’amministrazione centrale spende per abitante 1.200 euro l’anno in Lombardia, 1.882 in Abruzzo e 2.792 nel Lazio dove c’è la media più alta in assoluto. E’ vero che i tagli, dal 2008 in poi, pesano per il 40 per cento al centro e per il 60 per cento in periferia, ma questa è esattamente la composizione delle uscite, escluse le pensioni e gli interessi: su cento euro, 60 ne spendono comuni, province e regioni. Lì c’è il grasso e lì bisogna incidere. I 140 miliardi di disavanzo probabilmente non verranno mai recuperati, quindi niente lacrime, ma olio di gomito.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Stefano Cingolani, 27 novembre 2013 - ore 06:59