Indispensabile è il popolo, non Letta

L’ intoccabilità del governo ha ormai sapore lobbistico puro.

 Napolitano rischia molto, facendogli da scudo. Prendere atto dei fallimenti e lasciare che gli italiani decidano il futuro: questo occorre

Bisogna domandarsi con schiettezza, per capire la situazione italiana, la politica e altro, come mai il governo Letta abbia questa strana e anche un po’ misteriosa aura di indispensabilità. La Commissione di Bruxelles boccia la legge di bilancio di Fabrizio Saccomanni e del premier? Vabbè, che ci volete fare, lasciamo che passino un paio di dichiarazioni minimizzatrici, e il gioco è fatto. I sindacati protestano con lo sciopero, ma si capisce che è per finta, e Confindustria stuzzica ma in realtà se ne sta tranquilla, anche se un imprenditore toscano arriva a smontare il suo capannone per non darla vinta al governo esattore in questo inaudito ballo intorno alla rata dell’Imu. Il caso del ministro Cancellieri? Va bene, ma l’aggressione forcaiola, più Repubblica, trova subìto un limite in possenti coperture del supremo livello, e in altre coperture: tutti a cuccia. Matteo Renzi è a un passo dalla segreteria del Pd, con il consenso maggioritario di iscritti ed elettori, e promette di non derubricarsi a notabile giovanilista, promette di cambiare registro a suo modo (criticabile, ovvio): eppure sono in tanti a scommettere, e a lavorare in questa direzione, per delegittimare, a favore del governo, questo assalto rottamatore da tempo annunciato alla larga coalizione e al ministero di establishment. Letta perde (forse) l’appoggio del grosso del partito che ha contratto con il Pd il patto ministeriale dello scorso maggio, perde i berlusconiani. Dovrebbe essere un problema il fatto che una Forza Italia del 20 per cento virtuale sia “out”, mentre è “in” un gruppo scissionista del 3 per cento virtuale. Ma figuriamoci, è un coro politologico filogovernativo a dire subito e all’unisono che il governo si è rafforzato, perde la zavorra del Cav. e dei falchi.

Ora, questo governo nacque come l’unica soluzione realistica possibile nelle circostanze del dopo elezioni, ma con la specificazione, oggi si dice il sottotesto, che in diciotto mesi avrebbe dovuto fare grandi cose per effetto di una riunificazione delle forze, appunto, di una larga coalizione che cessava di essere il teatro del conflitto bipolare assassino che sappiamo. Queste cose non saranno fatte, ormai è chiaro a tutti. Letta non ha generato un rassemblement sui generis, ha subito le conseguenze della sentenza Esposito contro Berlusconi, la guerra successiva, la linea d’assalto politica del Pd (lo cacciamo noi e ne facciamo scalpo, non aspettiamo l’interdizione giudiziaria); ha fatto road show diplomatici di relativo successo a Washington e a Berlino, “destinazione Italia”, “quanto è bravo lei”, ma ha preso botte dagli spagnoli e dai francesi (Telecom e Alitalia), e in generale, chiunque lo capisce, si è alquanto indebolito. Eppure l’idea che circola, non solo per i soffietti di parte della stampa, è che il suo è un governo indispensabile quanto mai altri. Va bene che siamo un paese di ruffiani e di paragovernativi, quando si senta il sapore di un potere “non populista”, cioè elitario, ma questo non spiega tutto. La luna di miele di Monti durò assai meno.

La chiave di volta della situazione è Giorgio Napolitano, il capo dello stato che ha tratto forte autorità dal fallimento post elettorale della sinistra, è stato rieletto a mani basse, ha detto con schiettezza alle Camere, la scorsa primavera, che bisognava lavorare per una fase di stabilità pacificata e di riforme. Napolitano si spende fino a collocarsi sul confine spericolato di una gestione ipertrofica dei suoi poteri costituzionali e di prassi, e anche dei suoi poteri reali, che sono superiori a quelli di qualunque altro presidente prima della sua rielezione, lui compreso. Corre dei rischi apparendo, come ha scritto uno dei suoi persecutori, il furbo Marco Travaglio, capo dello stato, del governo e del partito (aggiungeremmo presidente delle due Camere, che convoca i partiti al Quirinale per discuterne l’agenda riformatrice in materia elettorale e costituzionale). Nel caso Cancellieri, sia pure con molte ragioni dalla sua parte, il presidente ha addirittura sanzionato, con esternazioni da Repubblica ultrapresidenziale, un ambiguo comportamento della magistratura torinese, utile a salvare il ministro.

Ma nemmeno il ruolo di spinta di Napolitano, ai confini delle regole, e oltre, spiega tutto. Bisogna leggere bene i collegamenti internazionali del governo, quelli lobbistici e amicali (il Letta maior è sempre impeccabile, ma Gianni si chiama Letta e non può farci niente), e il viluppo di interessi economici e finanziari in gioco in epoca di mezze e un po’ sfessate ma redditizie para privatizzazioni. Però così non si può andare avanti. La soluzione realistica di maggio, ora che è autunno, assomiglia a una congiuntura lobbistica di notevole rango ma molto lontana da una qualunque caratura democratica persuasiva. Ciascuno, dal presidente al premier e caretaker della recessione e dei conti pubblici spossati, fino ai partiti e alle istituzioni, dovrebbe tornare a fare la sua parte. Occorre prendere atto di una serie di fallimenti, che non dipendono necessariamente dalla cattiva volontà di alcuno, e mollare l’indispensabilità ormai palesemente ademocratica. E’ indispensabile, altro che, un Renzi che faccia la sua corsa liberamente e secondo programma, e uno sbocco (elettorale, ovvio) alle pulsioni delle altre opposizioni (forse con dentro il Cav., a parte il troppo demonizzato e molto fatuo Grillo). Napolitano nel novembre del 2011 fece un’operazione spericolata ma gigantesca di salvezza nazionale, passando sul diritto elettorale del popolo dopo il dissellamento del Cav,. Ma ora, in una politica che non gli fa scudo per il suo ruolo superpartes, e anzi lo obbliga a essere scudo di parte in modo spesso inaudito, il rischio è che si chiuda a riccio in una oligarchia lobbistica minore, senza visione e senza vera legittimazione politica.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara 22.11.2013

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