La vera ciccia nella sfida Renzi-D’Alema

La classe di Max e la battaglia tra chi vuole il Pd

e chi non lo vuole più. Il vero problema di Matteo Renzi è che nel soporifero mondo del Partito democratico ciò che spicca nella gioiosa campagna elettorale del sindaco fiorentino è la quasi totale assenza di avversari di livello come Massimo D’Alema. A sinistra l’assenza di nemici, così come l’unanimismo, denota sempre la presenza discreta di un numero mostruoso di nemici pronti a sbucare da un momento all’altro da dietro un qualsiasi cespuglio (per credere, citofonare Romano Prodi). Ma ciò che qui conta davvero è che D’Alema ha il merito di combattere la battaglia a “viso aperto”, come direbbe Renzi, di dire a voce alta quello che nel Pd in molti dicono con la voce bassa di chi ha paura di essere rottamato dal grande Asfaltatore e di utilizzare con un’abilità straordinaria il piombo delle interviste come fosse una lava incandescente da rovesciare sull’avversario. “Renzi non potrà pensare di impadronirsi di un partito che in una certa misura lo osteggia”. “Noi stiamo eleggendo un segretario, non un dattilografo”. “Se c’è un’emorragia di iscritti che si fa, facciamo smontare i gazebo a Flavio Briatore?”. E così via. Sublime.

Certo. A voler leggere con malizia la chiacchierata concessa ieri da D’Alema all’Unità si potrebbero notare anche molte altre chicche offerte dall’ex presidente del Consiglio. Formidabile, per esempio, il sopracciglio perplesso e crucciato di Max che critica Renzi per essere sostenuto dallo stesso editore che fino a qualche mese fa appoggiava il suo Bersani, Carlo De Benedetti. Così come è formidabile il tono severo di chi rimprovera il dattilografo di Firenze – a D’Alema non va tanto giù il fatto che Renzi sappia twittare con dieci dita, non gli va giù proprio il fatto che Renzi stia lì a perdere tempo con queste scemenze – di essere appoggiato da un pezzo importante d’establishment (ché si vede signora mia, non ci sono più le merchant bank di una volta). Dettagli a parte, ciò che forse D’Alema avrebbe dovuto però esplicitare meglio nella sua intervista è il più importante dei non detti nascosti dietro le parole degli avversari di Renzi. Un dettaglio che riguarda la natura stessa del Pd. Al di là di quello che si possa pensare di Renzi e D’Alema non c’è dubbio che tra il modello di partito pensato dal sindaco di Firenze e quello pensato dall’ex presidente del Copasir quello che si avvicina di più all’identità originaria del Pd – Pd inteso come partito sul modello americano e a vocazione maggioritaria – ha un’impronta più renziana che dalemiana.

Il Pd immaginato da Renzi, pur con tutti i suoi limiti, è senza dubbio un Pd che potrebbe rottamare le vecchie forme di partito, che potrebbe infilare nella cartellina “trash” tutte le ultime scorie comuniste e che potrebbe inoculare nella sinistra un anticorpo utile a sconfiggere la sindrome dell’amalgama non riuscito. D’Alema lo sa e lo teme. E per questo, al netto di tutto, si può dire che la vera sfida tra Max e Renzi è proprio su questo punto. Tra chi vuole cambiare il Pd e chi invece vuole mantenerlo così com’è. E insomma: tra chi vuole che il Pd faccia il Pd e chi invece quel partito, inteso come partito sul modello americano a vocazione maggioritaria e alta densità di follower, vorrebbe rottamarlo e trasformarlo in qualcosa di diverso. Il punto in fondo è tutto qui, non è vero Massimo?

© - FOGLIO QUOTIDIANO, 15 novembre 2013 - ore 06:59

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